Montesilvano. Faccia a faccia con la Bandabardò: il sogno di una ventina di giovani musicisti si è avverato ieri, nel backstage del PalaRoma, a poche ore dal concerto della più famosa folk-band italiana. Da fan a idoli, ma anche da musicisti ‘minori’ a professionisti affermati: un dibattito sulle prospettive future della musica come professione si è ben presto trasformato in una lunga e divertente chiacchierata. La Banda non si smentisce.
Ti aspetti che le grandi star se la tirino, che a meno di tre ore da un concerto siano disposte a tutto fuorché star dietro a dei ragazzi e alle loro domande. Ok, l’incontro ha dell’istituzionale, un dibattito sulle prospettive della musica previsto dalla Giornata delle Politiche giovanili del Comune di turno dal quale si trovano a passare con l’ennesimo tour di successo, quelle cose che “toccano”. Ma loro no, loro sono la Bandabardò. Cioè, sì, sono delle grandi star, ma dopo 18 anni di carriera acquisita in giro per il mondo Erriquez, Orla, Finaz, Ramon, Donbachi, Nuto e Cantax le stelle le hanno toccate ma conservano ancora quell’umiltà di chi si carica strumenti e sogni su un furgoncino e li porta a spasso sui palchi più sgangherati degli inizi. E allora chi meglio di loro possono spiegare a delle band emergenti come si vive e come si arriva a lavorare di musica?
Un’occasione, per chi è costretto ad accontentarsi anche del palco della sagra, per toccare con mano come si compongono le sequenze di un concerto “vero”. I Bicchierino, Osvaldo Bianchi, gli Absently, i Numaco Project, e i Ragazzi del giubocs hanno potuto assistere alle prove della Banda, che poi, ancora in preda all’adrenalina pre-spettacolo, li ha accolti nel camerino allestito negli spogliatoi del palazzetto. Macché backstage e poltrone di pelle umana: panchine da squadra di calcetto e una scrivania strabordante di affettati, frutta, e tonici da bere in bottiglie di vetro verde da 33 centilitri. Le domande, quelle “confezionate”, le hanno fatte i giornalisti, ma il dibattito, cioè, la chiacchierata, è stata tutta tra la Banda e le band. Giusto qualche spunto, per instradare il discorso sui talent show, sui social network, sulle origini e altri pipponi di genere, e poi la parola agli artisti. Tutti, gli artisti.
Premessa che spiega l’atmosfera: un cilindro di Gaetaniana memoria appeso al manico del trolley che sfiora la trecciuta barba di Erriquez, Donbachi e Cantax seduti a terra, Ramon che rifiuta il posto a sedere offertogli da un giovane giornalista che nella borsa, accanto al taccuino, conserva le sue bacchette regalategli durante un concerto di Daniele Silvestri, e da cubano doc se ne va in giro ad offrire bicchierino di rum, dopo aver stappato una bottiglia ed eseguito un rituale da Santeria o degno dei peggiori bar de La Havana.
Tra i ragazzi, sono parecchi quelli che, anche per la pagnotta, portano avanti il repertorio cover, e quando vien fuori che c’è una band-tributo alla Banda Erriquez e Finaz si gasano a bestia, poi si ricompongono e raccomandano: “Andate comunque avanti con i vostri pezzi, anche se vi criticano”, e qui parte un’occhiataccia alla stampa presente, anch’essa giovane: “i giornalisti per poter giudicare devono muovere il culo”, si incazza Erriquez, “andarseli a sentire i concerti e non mettere delle stelline. Non sono dei depositari del gusto comune, e il più delle volte sono musicisti mancati che si fissano solo sulla tecnica, senza da retta alle emozioni, o si basano sui vecchi cliché senza seguire le evoluzioni: noi portiamo ancora il marchio infame del nostro inizio off, siamo quelli che fanno casino, che portano i comunisti cattivi e i black block, ma non gli entra in testa che non facciamo un centro sociale da 7 anni o che suoniamo con Dario Fo e Giobbe Covatta. Un critico ha scritto di Scaccianuvole (l’ultimo album Ndr.) che è la solita patchanka, mentre è molto più suonato e intimo: non l’ha nemmeno ascoltato e c’ha dato un quattro”.
Chiaro il messaggio: “Qualcosa di nuovo va sempre portato avanti”, contro tutto e tutti, mentre il commercio musicale si sta serializzando e foraggiando con le fabbriche dei talent show. “Che poi, farsi giudicare da Simona Ventura per un musicista è proprio il minimo della vita”, incalza Erriquez, “non è un attacco personale, ma se non hai mai preso in mano un microfono e imbracciato una chitarra, chi cazzo sei per giudicarmi?”. Oggi, per bypassare la gavetta si tenta la scorciatoia del Talent: “L’unico modo per promuoversi è suonare, suonare e suonare”, suggerisce Finaz, “andare in giro, fare l’asfalto, farsi i muscoli sul palco, crearsi un patrimonio di pubblico che, poi, diventa il miglior passaparola”. “Quello che mi dispiace”, lo interrompe il cantante, “è che tanti gruppi giovani vengono da me e mi chiedono ‘ascolta la mia numero 3, può funzionare? Ci può lanciare? Non chiedono se è una bella canzone per davvero. Solo il pubblico ti può lanciare”. Una raccomandazione che rimanda al passato, agli antenati dei talent show e a chi li ha sfidati e persi, per poi vincere un più glorioso successo: “Battisti e Vasco furono scartati da San Remo”, ricorda la Banda, “questi programmacci sono fatti per farti dimenticare, chi se lo ricorda chi ha vinto X-factor l’anno scorso? Fai un pezzo figo, hai un rapido boom e poi ti riciclano subito con un altro. È come Miss Italia, una strafiga pazzesca che l’hanno dopo ti fanno dimenticare per mettercene un’altra. Ben altra cosa che il mestiere della musica. Il chitarrista acustico più bravo d’Italia sottolinea: “Lì conta il chiacchiericcio attorno al personaggio, non se la tua canzone va al top, è solo un circo che cerca di sputtanare la gente e mira alla vendita di un prodotto”. Il mestiere, secondo Erriquez, “invece è quello di suonare tutta una vita, senza cercare di giocarsi tutto in una serata. Il vero giudizio non è il televoto, è quello del pubblico: io sono un musicista e voglio anche le lattinate”.
Ma non è tutto marcio nello stivale italiano. La rassicurazione per chi muove i primi (seppur da parecchi anni) passi nel business musicale viene da Finaz: “E’ un miracolo quanto si riesce a suonare in Italia, in Francia, ad esempio, non esiste un circuito basso. Ad esempio, in centro Italia, un gruppo minore riesce a fare 7-8 date ad Agosto, esiste ancora un germoglio di possibilità. Vero è, parlando per esperienza, che è difficile anche produrre gruppi minori, anche bravissimi, perché in Italia va il grande nome, ma poi la gente a sentire sempre gli stessi artisti si stufa”. Per chi, però, guarda al lato più profondo dello spettacolo, l’estero è un paradiso confrontato con l’Italia: “Da noi i problemi veri sono i pericolosi fumatori di spinelli che vanno ai concerti, mica lo Spread”, ironizza Erriquez, quindi sotto al palco ci sono più celerini che spettatori”. “La scorsa estate abbiamo suonato ad un festival a Bruxelles”, racconta la Banda, “un doppio palco davanti ad un abbazia antichissima, con una marea di gente piena di nonni e bambini. Qui le Belle Arti ti fanno il culo perché hanno paura che si incrini la pietruzza antica, mentre lì nessuno rompe niente”. “Ma poi ve li immaginate gli italiani che portano i bimbi ai nostri concerti? Nel 2003 qui a Pescara”, ricorda Finaz, “c’erano due file di poliziotti sotto il palco di Manu Chao”.
Capelli bianchi e rasature che nascondono gli anni che passano, la Banda assicura di essere ancora giovane. Ma quanto è rimasto, dopo 19 anni, di quei ragazzi che si misero insieme per fare la Bandabardo? La risposta è corale: “Siamo rimasti gli stessi: non ci siamo messi insieme per arrivare da qualche parte, non l’abbiamo mai fatto diventare un lavoro. Ci siamo detti: andiamo avanti finché dura, e siamo ancora qua, insieme come mamma c’ha fatti: Ramon fa il cubano salsa e merengue, Cantax ama il rock duro e ce lo trasmette, insieme formiamo la cosiddetta entità. Se ci fossimo piegati a fare un genere omogeneo avremmo fatto una fine che non vogliamo. Siamo un qualcosa che a noi piace: vietato cambiarlo”.
Per tanti, nonostante gli attestati di vendita e gloria, nonostante i tour mondiali la Banda è ancora rinchiusa in un “circuito artigiano”. Erriquez alza la treccia e rimarca: “Per noi quella A è maiuscola, c’è chi la vede in senso negativo, una cosa da dilettanti: per noi è una cosa fantastica, una filosofia di vita. Loro, che seguono X-factor, amano la musica industriale, noi per anni siamo andati avanti a venderci i dischi da soli: nei negozi se ne vendevano mille e i banchetti al concerto ne vendevano 7mila”. Tipo la Bandabardò a San Remo? “Abbiamo detto no, non per romanticismo o perché siamo contrari, ma perché quello è il festival della canzone italiana: noi facciamo un altro lavoro: la nostra è vita vera”. Il romanticismo, però, spesso non va al pari con i conti; ma a questo, comunque, risponde il pubblico, romantico anche quello, che partorisce il consiglio per quei venti musicisti raccolti ad ascoltare gli idoli: “Per amore del nostro pubblico teniamo il prezzo dei cd a 10-12 euro, per cui, se non ci guadagniamo un centesimo, almeno vogliamo che ci lascino fare quello che ci piace. Che poi, alla fine, chi ci segue si masterizza un cd degli U2 che costa 40 euro, ma quello della Banda se lo vengono a comprare originale al concerto: ci coccoliamo a vicenda in questo modo da 19 anni”.
Tra un insulto scherzoso a Ramon, “Agli inizi ce la vedevamo con le balere e le serate salsa e merengue, gli abbiamo strappato il migliore sulla piazza per ridurre la concorrenza”, e un vassoio di patatine passato di mano in mano, spunta il social network; è Cantax quello che sta sempre sulla pagina Facebook della Banda: “Perché è l’unico single tra tutti noi, quindi si cerca la fidanzata”, scherza Finaz. Per Erriquez, invece, “è molto difficile da usare per la promozione. È fantastico, invece, da usare come cittadino: penso alle rivoluzioni in nord-Africa o a quello che sta facendo Assange, l’ho molto rivalutato. Cose molto più importanti della promozione di un disco”.
Due ore di intimità con i musicisti più scalmanati d’Italia, interrotto da un orologio che dice che per la cena, prima del concerto, è rimasta solo un’ora. La Banda guarda per l’ultima volta i suoi fan e aspiranti colleghi negli occhi, e con un puzzle di consigli lascia loro l’ultimo messaggio: “Il nostro successo vero è essere ancora insieme dopo 19 anni, sempre gli stessi, una famiglia con la stessa energia anche sul palco. Rendiamo grazie alla musica, una carica costante, che ci ha aiutati a sopravvivere tutte le brutte vicende che ci ha riservato la vita, ci ha fatto superare le tragedie personali. Nonostante persone care ci abbiano lasciato, non siamo mai saliti sul palco senza voglia: se stai bene sali sul palco e ti butti via al pubblico, ma se stai male sali e ti fai una doccia di allegria che ti aiuta ad andare avanti”.
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Daniele Galli