L’Aquila. La piena ricezione dei classici della letteratura comporterebbe la capacità del lettore di scoprire sempre nuovi significati all’interno di un’enigmaticità che è canone estetico dell’opera d’arte stessa, e il piacere di tessere un ordito di testi, anche lontani nello spazio e nel tempo, accomunati dalla tematica universale trattata dagli autori, dalla sensibilità e dalla visione del mondo che ha portato alla loro composizione.
“Fantasmi”, portato in scena ieri al Teatro Stabile d’Abruzzo, con replica questa sera, sempre a L’Aquila, e domani nel Teatro Comunale di Atri, è il risultato di questa complessa e non comune operazione: lo spettacolo teatrale è un armoniosa trama di testi pirandelliani legati tramite due personaggi creati dalla penna di Scaldati.
Enzo Vetrano e Stefano Randisi, che da sempre si confrontano col teatro di Pirandello, accostano un testo celebre, “L’uomo dal fiore in bocca” ad uno inedito “Sgombero”, concepito all’interno della serie delle Novelle, e li racchiudono in una cornice che, nella paradossalità dei loro dialoghi e nella malinconica dolcezza del finale, suggellano le riflessioni di Pirandello sulla più scomoda e irrisolvibile delle questioni: la morte.
In apertura il testo di riferimento su cui è basata la sceneggiatura è “Colloqui con i personaggi” di Pirandello: l’immortalità è privilegio dei soli personaggi dei capolavori della letteratura, sottratti da condizionamenti e contingenze dovute al tempo e allo spazio. Ai comuni mortali non resta che rassegnarsi alla mutevolezza e all’enigmaticità dell’esistenza, lasciandosi trascinare dal flusso inarrestabile, a volte corrosivo della vita.
Ad accomunare i personaggi in scena l’aver sperimentato la durezza della vita nel suo sapore aspro e terroso, con le sue umiliazioni e i suoi patimenti:ne dovrebbe scaturire una serena accettazione della morte. E invece la voglia di vivere si è abbarbicata ancora più saldamente dentro di loro.
La protagonista della novella “Sgombero” accusa la salma (ancora da comporre) del padre-padrone della vita priva di dignità a cui è costretta, per la strada a vendere il suo corpo al primo che capiti; rivanga un’esistenza fatta di miseria, e di violenze subite, incalzata da uno stato continuo di bisogno minacciata dalla vergogna di mendicare per continuare a sopravvivere, abusata nella sua femminilità. Ma nella scena finale prorompe il bisogno di immaginare, anche per pochi istanti, lo stato di maternità che gli è stato negato: la voglia di vivere e di dare la vita urla in presenza di un cadavere.
“L’uomo col fiore in bocca” assapora ogni istante della sua esistenza e cerca, affamato, di rubare anche attimi di vita altrui, calandosi, tramite l’immaginazione dentro molteplici esistenze: la consapevolezza che un male fisico va centellinando i giorni che gli rimangono da vivere, lo rende ancor più disperatamente assetato di vita.
A completare il quadro, i surreali personaggi di Totò e Vicé, vecchi-bambini che si sostengono, l’uno all’altro, nell’unica verità di un sentimento d’amicizia, nella vana ricerca di trovare un significato ad un esistenza poliedrica e inafferrabile.
Sul fondale uno schermo rende visibile in contro luce, ombre e sagome, che come fantasmi accompagnano ogni singola scena. La stazione ferroviaria è una costante di riferimento sulla scena: luogo di incontri , luoghi di occasione perdute, luoghi di separazione e inizi di nuove esistenze. Basterebbe ricordare il ruolo epifanico che il treno ha nella novella “Il treno ha fischiato”, responsabile del disvelamento della forza della Vita stessa per capire la forza simbolica di questo oggetto.
Intensa, malinconica e ironica allo stesso tempo l’interpretazione di Randisi e Vetrano, cui si affianca la procace bellezza e la dolente rabbia di una Margherita Smedile protagonista del monologo tratto da “Sgombero”, confrontata, in alcuni tratti, alla grandiosità di Anna Magnani.
Elisa Giandomenico