La rassegna vuole quindi da un lato invogliare il visitatore a conoscere da vicino questi tesori, esposti per la prima volta insieme nel quartiere in cui erano originariamente ospitati e, dall’altro invitarlo nella visita al Museo Diocesano: autentico scrigno d’arte e fede della nostra città. A Palazzo De Crecchio, il percorso espositivo è stato convenzionalmente diviso in due settori: il primo ubicato vicino all’ingresso, ospita principalmente le opere provenienti dalle demolite chiese del quartiere. Va infatti ricordato che nella prima metà del XIX secolo, sotto la spinta del rinnovamento urbanistico dell’architetto Micchitelli, furono demolite le chiese di San Martino, San Lorenzo e San Maurizio, già nel 1809 infatti il Decurionato cittadino aveva auspicato la soppressione di queste chiese a causa della loro inadeguatezza e decadenza strutturale.
Di questi perduti edifici religiosi, oltre alle memorie scritte degli storici patri, restano ad esempio solo singole testimonianze artistiche esposte nella rassegna: la pregevole tela della “Madonna del Rosario” tra i santi Filippo Neri, Ignazio di Loyola, Sebastiano e Martino (realizzata intorno al 1750 dal maestro Domenico Renzetti proprio per l’importante chiesa di San Martino) o il monumentale “San Maurizio e la Legione Tebana” commissionato a metà del ‘600 proprio per la chiesa dedicata al santo militare, per secoli patrono della città di Lanciano, ancor prima della Madonna del Ponte. Proprio a San Maurizio è legata inoltre una particolare leggenda riportata anche dal Fella e dall’Antinori, secondo la quale nell’anno 610 d.C. un certo Comitono, Governatore della Provincia per conto di Bisanzio si preparava con un grosso esercito ad attaccare Lanciano: i cittadini frentani, inferiori di numero e timorosi per le loro sorti, invocarono San Maurizio che apparve insieme alla sua Legione ed aiutò i Lancianesi a respingere il pericoloso nemico. Non mancano inoltre, in questo primo settore della rassegna, i riferimenti al secondo Miracolo Eucaristico di Lanciano, quello del “Frija Crist” avvenuto nel quartiere Lancianovecchia nel 1273.
E proprio dalla chiesetta di Santa Croce che, con molta probabilità, proviene la tela con “La Profanazione dell’Ostia” raffigurante Ricciarella inginocchiata davanti al coppo con l’ostia sanguinante, autentica rappresentazione del corpo eucaristico di Gesù Cristo. La seconda sala ospita invece quelle opere d’arte che originariamente trovavano spazio nella chiesa di Sant’Agostino e nei locali della sua sacrestia. Tra le fotografie in mostra va senz’altro segnalata: l’elegante “Annunciazione” del XVI secolo, stilisticamente affine all’ambito del Tiziano e della Scuola Veneta. All’epoca Venezia era infatti per Lanciano, centro commerciale tra i più attivi d’Abruzzo, uno degli interlocutori privilegiati negli scambi economici, nelle relazioni culturali ed anche nella sfera artistica visto che molti acquirenti locali anche il tramite dei mercanti d’arte lagunari commissionavano ed acquistavano diverse opere presso i maestri della Serenissima. Di grande pregio sono inoltre l’opulenta Vergine dai tratti spiccatamente nord-europei col Bambino nel particolare modello iconografico della “Madonna del Latte”, copia questa, della celeberrima opera del pittore tedesco Lucas Cranach il Vecchio (1472-1553) pittore di corte di Federico il Saggio re di Sassonia e padre della cosiddetta Scuola del Danubio, il bel busto ligneo di Sant’Agostino eseguito da Domenico Renzetti nel 1718 e, sempre rimarcando il legame con questa chiesa, il bell’olio su tela raffigurante “L’Elemosina di San Tommaso da Villanova” significativo perché legato alla figura dell’Arcivescovo Barnaba De Castro che nel 1698 fece edificare una cappella in onore di San Tommaso ed in seguitò dono al convento agostiniano proprio quest’opera realizzata da un’artista locale di ambito abruzzese.
Menzione particolare va poi per la straordinaria croce processionale in argento sbalzato e smalti, attribuita con buona certezza, nonostante non rechi iscrizioni che ne confermino la paternità, a Nicola da Guardiagrele (1385-1462) ed alla sua bottega. Non solo sussistono pochi dubbi sull’attribuzione a Nicola, ma anche sul fatto che la croce non è un’opera giovanile ma tarda del maestro, iscrivibile nel gruppo delle croci di Antrodoco (oggi al Museo Diocesano di Rieti) e Monticchio, entrambe caratterizzate da precisi recuperi arcaizzanti, come il ritorno dei dolenti a figura intera sul diritto ed i simboli degli evangelisti sul rovescio.