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“Un maestro molto elementare” di Bruno Di Pasquale

Un maestro “molto elementare”, fatto di onestà, rigore, rispetto e soprattutto umiltà. Non c’è descrizione più completa e accurata per descrivere Bruno Di Pasquale, canzanese doc che ha dedicato la sua vita all’insegnamento, una passione così coinvolgente da spingerlo a utilizzare quella che lui stesso definisce come la sua “penna artiginanale” per trasmettere al suo territorio il suo bagaglio di conoscenze, continuando in questo modo, sotto forme meno tradizionali, a insegnare a coloro che incrociano il suo cammino.

È nata così l’idea di dar vita a “Un maestro molto elementare”, un’opera che può essere collocata a metà strada tra un saggio di pedagogia, un racconto e un diario. Edito da una delle più prestigiose case editrici del settore pedagogico, è lo strumento con cui Di Pasquale racconta la sua storia professionale, la sua esperienza umana fra le mura di quella grande e complessa istituzione che è la scuola italiana. Un libro ironico e scansonato, fatto di aneddoti e curiosità, un viaggio che affonda le sue origini negli anni ’50, quando Di Pasquale vestiva i panni di scolaro, passando attraverso i risvolti agricoli delle scuole di campagna fino alla sua esperienza di insegnante “terrone” nella Milano da bere.

Un piccolo trattato, dunque, in cui si ricostruiscono i passaggi fondamentali della scuola italiana, dalle bacchettate di insegnanti descritte da Di Pasquale come “nevrotiche e rigide” ai nuovi sostanziosi programmi dell’85, che per un attimo spinsero l’autore a paragonare la scuola elementare all’università, fino ad arrivare ai cosiddetti “moduli”, alla fine del maestro unico, prima grande delusione di Di Pasquale, segno di un tempo che stava cambiando, dove, come egli stesso ama sottolineare, “pesava la burocrazia e i nuovi dirigenti intanto diventavano manager”.

Un insegnamento su tutti è quello che trapela dalle righe di “Un maestro molto elementare”: quello della perdita, strada facendo, dei valori alla base della vecchia scuola italiana, vera e propria palestra di vita per coloro che hanno avuto il privilegio di frequentarla. Una scuola dove, sebbene la miseria e la malinconia facessero da padrone, irrompeva prepotentemente anche la dignità in grado di formare, oltre che le menti, anche gli uomini. Aspetti sociali e umani venuti meno quando, divenuti adulti, quegli stessi bambini hanno plasmato i tempi e, con esso, le istituzioni.

La speranza, sembra dirci Di Pasquale, è quella di continuare, con grande umiltà e passione, a credere che ognuno di noi possa comunque trasmettere emozioni miste a conoscenze, anche in un tempo dominato dal permissivismo senza regole, dove gli alunni, iperprotetti, si sentono incoraggiati nel perseguire comportamenti scorretti. La convinzione è racchiusa nelle parole di alunni ormai grandi che, proprio come Di Pasquale amava insegnare, hanno preso carta e penna e scritto a quel maestro elementare che soleva portarli nei boschi per imparare, occhi chiusi e orecchie tappate, a capire cosa volesse dire il vento per riportare poi le parole della natura nei versi di una poesia. Persone cambiate, com’è normale che accada, persone cresciute ma ancora pulite e riconoscenti per quegli insegnamenti di vita. Bambini divenuti a loro volta genitori che continuano a essere legati a quei momenti, considerati preziosi tesori da trasmettere ai propri figli. Segno che Bruno Di Pasquale ha visto giusto, dimostrando come i mutamenti del tempo, impressi negli aneddoti fotografati nel libro, possano comunque essere gestiti per far sì che l’insegnamento, quello vero, continui a costituire il sale dell’infanzia e di una vita giusta e serena.