Francavilla al Mare. “Caro Antonio vorrei dirti che il soldato non uccide piùInvece il mio tempo rivela solo gallerie d’addii. Sulla scena del nostro paese non si abbattono che miserie.I colori sbiaditi della guerra e i reati della tortura sono lontani dai tuoi occhi fedeli alla luna, dalla luce della candela sempre accesa, dalla tua voce testimone di verità, dagli articoli di denuncia mai dimenticati (…)”: si conclude così la “Lettera ad Antonio Russo”interpretata da Arnoldo Foà, uno dei mostri sacri della cultura italiana, in omaggio al giornalista Antonio Russo, scritta e prodotta da un altro francavillese doc, il compositore e regista Davide Cavuti per il progetto “Vitae”.
“Ho voluto con questo mio testo ricordare un giornalista, francavillese come me, ucciso mentre stava lavorando nelle zone di conflitto. Un giornalista che, per raccontare, voleva vedere, anche a costo della propria vita. Non ho avuto purtroppo il piacere di conoscere Antonio Russo – ha commentato Davide Cavuti – allora ho immaginato di scrivergli una lettera il cui testo è stato interpretato da Arnoldo Foà, attore italiano tra i più grandi di tutti i tempi e con il quale ho avuto l’onore di collaborare scomparso anche Lui, lasciando un vuoto davvero incolmabile nella cultura italiana.”
Prodotto da “MuTeArt Film”, <>fa parte dell’album “Vitae” firmato da Davide Cavuti, pubblicato in anteprima nel 2016 il cui ricavato delle vendite sarà interamente devoluto alle popolazioni colpite dal sisma a L’Aquila e ad Amatrice. Cavuti ha coinvolto nel progetto “Vitae” gli attori con i quali ha collaborato in questi anni:Giorgio Albertazzi, Luca Argentero, Paolo Bonacelli, Mariangela D’Abbraccio, Arnoldo Foà, Vanessa Gravina, Alessandro Haber, Maria Rosaria Omaggio, Giorgio Pasotti, Michele Placido, Violante Placido, Alessandro Preziosi, Antonella Ruggiero, Edoardo Siravo, Caterina Vertova, Federica Vincenti.
Antonio Russo è stato per molti anni freelance e reporter internazionale di Radio Radicale. Tra le sue corrispondenze quelle dall’Algeria, durante gli anni della repressione, dal Burundi e dal Ruanda, che hanno documentato la guerra nella regione dei grandi laghi, e poi dall’Ucraina, dalla Colombia e da Saraievo. Russo fu inoltre inviato di Radio Radicale in Kosovo, dove, unico giornalista occidentale presente nella regione durante i bombardamenti NATO, rimase fino al 31 marzo 1999 per documentare la pulizia etnica contro gli albanesi cossovari.
Nel corso di quelle settimane collaborò anche con altri media e agenzie internazionali. In quell’occasione fu protagonista di una rocambolesca fuga dai rastrellamenti serbi, unendosi a un convoglio di rifugiati kosovari diretto in treno verso la Macedonia.
Il convoglio si fermò durante il percorso e Antonio Russo raggiunse Skopje a piedi: di lui non si ebbero notizie per due giorni, nei quali lo si diede per disperso. Fu ucciso nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 2000 in Georgia, dove si trovava in qualità di inviato di Radio Radicale per documentare la guerra in Cecenia. Il suo corpo venne ritrovato, con segni di tortura, ai bordi di una stradina di campagna a 25 km da Tbilisi. Perquisita dalla polizia georgiana, la sua abitazione fu ritrovata in soqquadro, mentre il telefono satellitare, il computer, la videocamera, e il materiale da lui raccolto sugli eccidi in Cecenia era stato sottratto. Le indagini della procura di Roma e della Digos, supportate anche da fonti del quotidiano The Observerer, dell’Ansa e del Corriere della Sera, collegarono l’omicidio di Russo con le sue scoperte giornalistiche.
Aveva infatti cominciato a trasmettere in Italia notizie circa la guerra, e aveva parlato di una videocassetta contenente torture e violenze dei reparti militari russi ai danni della popolazione cecena. Secondo alcuni suoi conoscenti, Russo aveva raccolto prove dell’utilizzo di armi illegali contro bambini ceceni. Giornalista freelance, non si era mai iscritto all’ordine dei giornalisti italiano per la sua contrarietà a questa organizzazione, condivisa con il gruppo dei radicali italiani di cui faceva parte. Nel 2001 gli è stato assegnato postumo il premio Saint Vincent di giornalismo.