Siamo nella Napoli del secondo dopoguerra e dell’occupazione, la storia di un popolo si fonde e s’interseca con quella di un orfano, lo Smilzo, detto anche “a Scigna” per l’abilità e la destrezza che lo contraddistinguono sin dal’infanzia. Cresce tra il gioco del calcetto, le letture di libri di seconda mano dell’amico libraio Don Raimondo e le partite a scopa con Don Gaetano, il portiere tuttofare del caseggiato in cui vive. Quest’ultimo rappresenta per lui un concentrato di diverse figure: amico, maestro e anche padre, sebbene il bambino si reputi figlio del palazzo e della città.
“T’aggia imparà e t’aggia perdere”. Questa è la frase che gli ripete Don Gaetano, con riferimento al gioco della scopa ma, naturalmente, anche alla vita: “quando ti avrò insegnato ti dovrò abbandonare. Era un fatto, doveva succedere così. Pure con la città doveva succedere lo stesso, mi doveva insegnare e poi lasciare andare”. In effetti lo Smilzo si nutre della saggezza della sua terra, pur con tutte le sue contraddizioni, e di quella del suo mentore, che lo porteranno a raggiungere la maturità. “I racconti di Don Gaetano mi aprivano le orecchie. La sua voce metallica entrava a pizzicare i nervi dell’immaginazione … L’ascolto […] mi faceva testimone secondo del suo tempo”.
E chi meglio di Don Gaetano può capirlo, data la capacità di leggere i pensieri degli altri, non quelli ordinati ed elaborati, bensì quelli che sfuggono al controllo razionale, che si presentano nella mente senza nessi logici. Questa rara dote gliel’ha fornita niente meno che l’esperienza, soprattutto una in particolare, fatta in giovinezza: l’emigrazione in Argentina, terra lontana e misteriosa, rifugio di molti italiani dell’epoca per fuggire dagli orrori della guerra.
L’orfanello cresce, impara che l’esistenza è sfida, lotta e sangue, inizia ben presto ad amare la lettura, la scuola e sogna … guarda dietro i vetri della finestra del terzo piano e si innamora. La piccola Anna che fa capolino di tanto in tanto dalla finestra sarà il pensiero ricorrente di tutta la sua giovinezza, la porta d’accesso alla felicità.
Intanto anche Anna cresce, lontana dalla sua casa natìa e dallo Smilzo. Diventa una donna, impazzisce o finge di impazzire, prigioniera del suo tempo, della famiglia, delle dure leggi della città, leggi non scritte ma scolpite nelle menti dei cittadini, regole d’onore, dei più forti. Promessa sposa di un camorrista, sfida il destino per seguire il cuore che, fedele ai suoi sogni di bambina, la riporta dallo Smilzo dopo anni di segregazione.
A fare da sfondo alle storie dei vari personaggi è sempre Napoli, una città dai vicoli urlanti, contenitore di tutte le epoche, che “vuole un re ma nessun governo” e che, con l’arrivo degli americani, “fa carnevale tutti i giorni”, una “città spagnola, in Italia solo per sbaglio”.
Ma il topos ricorrente della letteratura, il triste connubio amore e morte, ritorna anche in queste pagine. L’amore è la porta d’accesso al dolore e alla pazzia, ma anche alla felicità che, seppure richieda sempre un prezzo da pagare, rimane comunque un dono mistico che si inizia ad assaporare il giorno prima, il giorno prima della felicità, quando tutto cambia e si diventa uomini.