Contro ogni più rosea aspettativa dell’ideatore e del direttore artistico del Festival, Giovanni Di Iacovo e Vincenzo d’Aquino, l’auditorium Petruzzi si è riempito fino a scoppiare, con tanto di coda sul marmo di via delle Caserme per gli ultimi ritardatari, rimasti fuori dalla sala. Se i primi spettatori si sono presentati alle 16:30, sebbene l’inaugurazione della IX edizione del Festival delle Letterature dell’Adriatico fosse fissata alle 18:30, un motivo ci sarà stato. Un motivo che risponde al nome di Stefano Benni, “il lupo” della satira italiana, che ha aperto col botto quella che si candida ad essere la manifestazione culturale dell’anno.
Ma Benni, a 60 anni e dopo aver recentemente superato un momento cupo della sua vita, ha deciso di abbandonare l’ironia e la sferzante marca che l’ha sempre contraddistinto nel panorama letterario (e non solo) italiano per affrontare un romanzo intimo e delicato, “La traccia dell’Angelo” appunto, nel quale si cimenta in una trama forte, proponendo riflessioni morbidi e graffianti attraverso la storia di Morfeo e della sua malattia. La sua è una vera e propria denuncia poetica contro lo strapotere delle case farmaceutiche, dell’industria sanitaria e di “certa medicina e di certi medici specialisti”.
Presentando il suo romanzo alla platea Pescarese, infoltita da fan provenienti da tutta la Regione, Benni si è lasciato andare ad un racconto appassionato sulla vita in corsia, sulle giornate cupe della degenza e sulla “dipendenza che possono portare i farmaci sbagliati, forniti dalle multinazionali e da chi detiene il potere di far guarire”. L’esempio citato è quello dell’aids, “una malattia che sembra sparita poiché oggi non se ne parla più, e invece”, ha sottolineato l’autore, “è un problema concreto e attuale che riguarda migliaia di persone in stato di povertà, come l’Africa e il Terzo mondo. Ma i farmaci per curare l’Hiv sono costosissimi e non tutti possono permettersi di affrontare le spese mediche”.
L’abbandono del genere comico per passare alla letteratura più seria rappresenta per l’autore di “Bar sport” e “La compagnia dei celestini” una sorta di maturazione all’alba dei sessant’anni: “La mia esperienza personale”,ha spiegato, “ha avuto un ruolo determinante, quando sei triste e giù di morale non hai più quello spirito dissacrante; ma in questi anni a darmi la forza di andare avanti sono stati i miei libri. Bar Sport, ad esempio, l’ho scritto diversi anni fa eppure è sopravvissuto a generazioni di lettori e ancora oggi i giovani lo comprano e lo leggono”. Al contrario di alcuni scrittori, magari, più pubblicizzati e dai contenuti più pomposi: “I libri di Vespa, senza nessun attacco personale, durano tre mesi al massimo nonostante vengano pubblicizzati in spazi tv che potrebbero meglio essere riempiti da venti autori emergenti”, ha commentato lo scrittore, dall’alto della sua fama indiscussa.
Serio o faceto, Benni riesce sempre ad emozionare: leggendo un brano de “La traccia dell’angelo”, ha strappato un lungo applauso alla folla, ma soprattutto ha fatto scoppiare in lacrime più di uno spettatore, commosso per il trasporto infuso dall’autore nella sua ultima opera.
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Daniele Galli