Morrea. Quest’anno per la giornata della memoria non voglio ricordare solo gli ebrei, voglio parlare della storia di una piccola frazione in provincia dell’Aquila, Morrea, che oggi conta nemmeno 30 abitanti, ma che all’epoca riuscì a sfamare e nascondere fuggiaschi di diverse etnie, di cui moltissimi italiani. Parliamo di più di 70 anni fa ma ci sono elementi così attuali che meritano di essere tramandati.
Morrea, nella Marsica, precisamente nel Comune di San Vincenzo Valle Roveto nel 1915 fu colpita da un violento terremoto che causò la morte di più di 30 mila persone. Il sisma provocò una frana che comportò l’isolamento della frazione abruzzese, la quale da allora, e per molto tempo, fu raggiungibile soltanto a piedi.
Con l’avvento della seconda guerra mondiale Avezzano, non molto distante da Morrea, fu la sede di un campo di concentramento che inizialmente aveva come prigionieri di guerra i britannici, tra cui molti indiani. Questi ultimi furono i primi a fuggire dal campo ed a raggiungere Morrea, dove furono protetti ed aiutati da tutti gli abitanti della zona. Molti morreani, infatti, giurarono di aiutare tutti coloro i quali avessero richiesto riparo e sicurezza. Anche il diciannovenne Peppino Testa mise in atto tale giuramento. Questo ragazzo fu fucilato per non aver detto nulla riguardo le voci che ormai circolavano sul piccolo paese. I tedeschi fecero molti controlli, ma non trovarono mai dei fuggiaschi, perché ben nascosti nelle grotte. I pastori di Morrea dividevano i loro pasti coi prigionieri. Con gli indiani, con gli inglesi, con gli italiani. Raggiungevano le zone limitrofe per procurarsi gli alimenti necessari, coperte, vestiti, cure mediche. Alla fine della guerra i prigionieri salvati grazie alla loro ospitalità furono sommati. 5800 fu il risultato. 5800 persone salvate da un paesino che al tempo contava circa 450 abitanti.
La solidarietà dimostrata da Peppino e dai suoi concittadini è stata premiata con una medaglia d’oro al valor militare.
È incredibile come la situazione di questi ultimi giorni sia così vicina a quella morreana, risalente al 1942. Inizialmente sono rimasto sorpreso. Poi ho riflettuto e ho pensato che, anche se leggessi una storia ancor più antica, il risultato sarebbe lo stesso. Perché l’Abruzzo è una terra di solidarietà, condivisione, unione. È aperto al prossimo, dà riparo, cerca di aiutare in qualsiasi modo. Anche l’elemento terremoto si ripresenta inesorabile. È come se fossimo costantemente perseguitati dal suo fantasma. Ma il contrasto tra tale dramma geologico e la bellezza d’animo della nostra gente è nettamente vinto dalla seconda e lo sarà sempre, perché sempre saremo capaci di dimostrare il nostro coraggio, la nostra voglia di rialzarci.
Lorenzo Lobolo