La lavoratrice licenziata aveva effettuato oltre 4000 accessi a Facebook in un anno e mezzo.
L’abitudine di consultare con troppa frequenza Facebook è costata il posto di lavoro ad una donna bresciana che lavorava come segretaria in uno studio medico.
Durante i diversi gradi di giudizio è stato accertato che gli accessi al social network, effettuati dalla donna tramite il computer dell’ufficio, ammontavano a circa 4500 in 18 mesi, “per durate talora significative” sottolinea la sentenza d’appello.
I giudici di merito avevano già confermato il licenziamento, ravvisando nel comportamento della dipendente, una condotta “in contrasto con l’etica comune” e tale da incrinare il rapporto di fiducia con il datore di lavoro.
Di diverso parere la lavoratrice licenziata, che ha chiamato in causa la Cassazione, ritenendo che il controllo del computer da parte del datore di lavoro costituisse una violazione della sua privacy. Tesi rigettata dalla suprema corte che ha quindi confermato la sentenza di appello e con essa il licenziamento della donna.