Oliviero Toscani si spegne a 82 anni, ma l’eredità che lascia resterà per sempre: un uomo capace di far discutere, sempre e comunque
Si è spento a 82 anni, Oliviero Toscani. Quello che lascia in eredità, però, rimarrà per sempre nella memoria collettiva. Il fotografo era malato da tempo, soffriva ormai da due anni di una patologia rara. Il suo nome è “amiloidosi”, resa pubblica dal diretto interessato nella scorsa estate.
Si tratta nello specifico di una malattia “caratterizzata – come si legge sul sito ufficiale dell’Associazione italiana contro le leucemie-linfomi e mieloma – da un accumulo di aggregati proteicianomali che si depositano in diversi tessuti del corpo, con conseguente danno d’organo”.
Quello di Oliviero Toscani è un nome che evoca immediatamente immagini potenti e spesso controverse. Un fotografo che ha segnato profondamente il panorama della moda e della comunicazione per oltre cinquant’anni.
Nato a Milano il 28 febbraio 1942, eredita la passione della fotografia dal papà Fedele, storico fotoreporter del Corriere della Sera. Dopo aver frequentato il liceo Vittorio Veneto a Milano, Toscani si perfeziona all’Università delle Arti di Zurigo. Qui, ha l’opportunità di studiare sotto la guida di figure di spicco come Serge Stauffer, esperto di Marcel Duchamp, e l’artista Karl Schmid. Tutte influenze che plasmeranno il suo approccio all’arte visiva.
Un aneddoto significativo rivela la sua precoce vocazione. A soli quattordici anni, accompagnando il padre a Predappio per la tumulazione di Benito Mussolini, realizza un ritratto di Rachele Mussolini, catturando il dolore nella sua espressione.
Da quel momento, il suo percorso lo consacrerà come una figura polarizzante, amata, apprezzata, contestata e persino odiata. Anche la sua vita privata, per certi versi, diventa un argomento di discussione. La sua ultima moglie è Kirsti Moseng, con la quale è rimasto per oltre 40 anni. Lei, ex modella di successo, ha lasciato la sua carriera per vivere accanto a lui nella campagna toscana.
Il loro amore, nato in circostanze misteriose, ha resistito al tempo, nonostante le difficoltà di adattamento e l’isolamento. Dal loro matrimonio sono nati tre figli. Rocco, oggi gestore dell’azienda agricola di famiglia, Ali e Lola, coinvolte nel settore creativo e pubblicitario. Prima di loro, Toscani ha avuto altri tre figli da relazioni precedenti.
Il primo è Alexandre, nato dal primo matrimonio, quando Oliviero aveva a 26 anni. Lui vive in Francia e lavora in teatro come apprezzatissimo light designer. Dopo sono arrivate le figlie della svedese, naturalizzata italiana, Agneta Holst: Sabina e Olivia. Quest’ultima in passato ha espresso dure critiche pubbliche verso il padre, definendolo distante e accusandolo di maltrattamenti psicologici.
Un uomo malato di AIDS che evoca l’immagine di un Cristo contemporaneo segnato dalla sofferenza. Un palestinese e un israeliano, ben distinti dai loro simboli religiosi, che si abbracciano in un gesto di fratellanza. E poi ancora: un bacio tra un prete e una suora, una miriade di preservativi colorati che fluttuano nell’aria, una divisa militare macchiata di sangue, testimonianza di una guerra nei Balcani, un cimitero costellato di croci e così via. Sono immagini celebri, rimaste impresse nella memoria collettiva.
A distanza di molti anni dalla loro creazione, in un’era dominata dalla proliferazione di immagini sui social media, è innegabile l’influenza che il lavoro di Oliviero Toscani ha avuto sulla comunicazione pubblicitaria. La sua collaborazione con Benetton in particolare ha segnato un cambiamento epocale nel modo di veicolare un tipo di messaggio.
Con una solida formazione fotografica e una profonda conoscenza del mondo dell’arte, Toscani aveva assimilato la lezione di Andy Warhol, secondo cui “tutta la fotografia è Pop”. Avendo egli stesso posato per Warhol negli anni Settanta, aveva compreso a pieno la forza rivoluzionaria che l’artista americano aveva impresso all’immagine fotografica.
Aveva intuito, in particolare, come applicare questo approccio al mondo della pubblicità, trasformandola radicalmente. Sì, perché una semplice immagine, per quanto esteticamente gradevole, non era più sufficiente per vendere un prodotto.
Ecco allora che in un contesto sempre più saturo di immagini patinate e prive di significato, Toscani scelse di fotografare la realtà scomoda. Dai temi tabù, toccando persino la morte, decise di utilizzare queste immagini per comunicare non solo un marchio, ma anche un messaggio sociale di ampio respiro. Si rivolse alle nuove generazioni, ai cambiamenti del mondo e alle sfide del presente.
L’approccio di Oliviero Toscani è stato spesso definito “shock advertising” o “shockvertising”. Con questi termini si intende la tecnica che si basa fondamentalmente sull’utilizzo di contenuti controversi per attirare l’attenzione. Tuttavia, il suo obiettivo non era semplicemente quello di stupire per fini commerciali, ma di persuadere il pubblico.
per riuscirci utilizzava appunto il linguaggio della fotografia. Attraverso questa manifestava la possibilità di costruire una società diversa, libera dallo stigma della malattia e dove l’orrore della guerra fosse il vero scandalo.
Nel corso della sua quasi ventennale collaborazione con Benetton (1982-2000), Toscani si spinse sempre oltre i confini convenzionali. Un percorso ulteriormente amplificato con la creazione di Fabrica, l’hub creativo del gruppo Benetton. Nato tra il 1993 e il 1994, in trent’anni di attività ha formato generazioni di designer, fotografi e artisti, e ha dato vita alla rivista Colors.
L’inizio di questa rivoluzione comunicativa risale al 1984, con un’immagine orizzontale su sfondo bianco raffigurante un gruppo di ragazzi e ragazze di diverse etnie, sorridenti, accompagnata dallo slogan “Tutti i colori del mondo”. Questa prima campagna ottenne numerosi riconoscimenti internazionali. E, soprattutto, pose le basi per il cambiamento del nome del marchio in “United Colors of Benetton”.
Negli anni successivi, Benetton lanciò una serie di campagne incentrate sul tema dell’assurdità del razzismo. Un ragazzo afroamericano e un ragazzo sovietico, con le rispettive bandiere, si abbracciavano in piena Guerra Fredda. Un ragazzo palestinese e un ragazzo israeliano stringevano insieme un mappamondo. Due mani, una bianca e una nera, venivano mostrate ammanettate.
Negli anni Novanta e Duemila, la provocazione si fece ancora più audace. Nel 1991, venne pubblicata la foto di un cimitero di guerra e, nello stesso anno, l’iconica immagine dei preservativi colorati.
L’anno seguente, ecco la fotografia di un uomo e una donna che camminano nell’acqua durante un’alluvione e la potente immagine di David Kirby morente di AIDS. Nel 1994, la pubblicità mostrava gli abiti insanguinati di un soldato bosniaco, e nel 1996 tre cuori con le scritte “White, Black, Yellow”. Definire Toscani un “precursore”, insomma, sarebbe probabilmente riduttivo.