E contestualmente viene chiesto al Governo, attraverso i rappresentanti sindacali, di intervenire perché uno stabilimento che è in buona salute non può chiudere i battenti e lasciare a casa 155 famiglie.
Viene tenuta sempre molto alta l’attenzione dalle organizzazioni sindacali sulla Befafence di Tortoreto, la multinazionale con sede sulla bonifica del Salinello che appena una settimana fa ha comunicato che lo stabilimento chiuderà i battenti entro la fine del 2020.
Prospettiva, questa, che rischia di lasciare senza lavoro 155 tra operai e impiegati con una perdita di ulteriori 100 posti di lavoro nell’indotto che ruota attorno ad una delle aziende leader nella produzione di reti e recinzioni metalliche.
Sulla vicenda ha preso posizione anche Roberto Benaglia, segretario generale di Fim Cisl.
“L’azienda ex- Metallurgica Adriatica“, si legge in una nota, “produce recinzioni metalliche e sistemi di sicurezza esportati in tutto il mondo. Dopo vari passaggi di mano, oggi fa parte del gruppo multinazionale inglese Praesidiad di cui è proprietario il fondo Carlyle guidato in Europa dall’italiano Marco De Benedetti. Un fondo private equity con una dotazione 6,4 miliardi di euro e oltre 300 investitori per lo più fondi pensioni e fondi sovrani in più di 37 Paesi, probabilmente ritiene secondarie le conseguenze delle scelte finanziarie rispetto al destino di oltre 300 famiglie”.
La decisione della Betafence, come è noto, si è materializzata a fine luglio durante una presentazione sulla situazione del gruppo e nella sostanza comunicata con una semplice slide ai presenti.
“Una scelta che non trova ragioni industriali“, prosegue Benaglia, “visto che si tratta di un’azienda che ha sempre prodotto utili, come dimostra il fatturato medio di circa 40 milioni di euro e il margine operativo lordo che ai proprietari ha fruttato circa 20 milioni nell’ultimo quinquennio.
L’azienda inoltre, rispetto alla media del settore, ha un assenteismo di appena il 3% e percentuali di produttività molto alte.
Una scelta quella dell’azienda per noi inaccettabile che non tiene conto delle professionalità e della produttività del sito della Val Vibrata, un’eccellenza del settore. Respingiamo la decisione di chiudere il sito teramano per delocalizzare a quanto pare in Polonia”.