Atri. Anche i dirigenti della FP C.G.I.L. di Atri intervengono nel dibattito che vede al centro della discussione l’ospedale San Liberatore di Atri, convertito in Covid Hospital per l’emergenza sanitaria, ed il suo futuro. Ed è proprio da quest’ultimo che parte il sindacato per ripercorrere gli ultimi 45 giorni che hanno visto il presidio di Atri protagonista nella lotta contro il virus.
Secondo la ricostruzione di Cgil, dopo la conversione in ospedale Covid è accaduto che:
E ancora: “Durante quei giorni difficili la FP C.G.I.L. di Atri ha esposto queste problematiche a chi di dovere. Con senso di responsabilità non ha usato la stampa per denunciare le carenze e le criticità, ha evitato la visibilità mediatica non volendo ulteriormente preoccupare la popolazione, ma le richieste avanzate non hanno avuto nessuna risposta o soluzione. Il P.O. di Atri è così salito agli onori della cronaca con ossequi al personale medico e al restante personale del comparto, definiti anche eroi. Eroi che hanno versato sudore e lacrime, che hanno lavorato con scienza, coscienza e diligenza visto che il tasso di contagio tra il personale è stato notevolmente basso”.
Si arriva ad oggi, al destino del San Liberatore. “Finalmente il contagio si è ridotto, i ricoveri sono scesi e le guarigioni aumentate, ed ancora una volta si è deciso il futuro del San Liberatore senza neppure confrontarsi, non solo con i sindacati, ma soprattutto con i lavoratori. Scelte che di nuovo non tengono conto, nonostante non siamo più in emergenza, della salute e della salvaguardia dei lavoratori. Quindi la FP C.G.I.L. di Atri ha deciso di consultare attraverso il web e Whatsapp, non potendo organizzare un assemblea, i propri iscritti e simpatizzanti per ascoltare il loro parere e le loro proposte. La maggioranza dei lavoratori da noi contattati ha espresso parere negativo sulla divisione del San Liberatore in un ala Covid e una no-Covid, vuole il ripristino dell’ospedale con la completa funzionalità di tutte le UU.OO. e dei servizi consapevole che un ospedale ridimensionato non possa erogare a pieno tutte le prestazioni precedenti la pandemia. L’alternativa alla zona no-CoVid è quella di ristrutturare, anche con un eventuale ampliamento, la palazzina adiacente l’ospedale e che ora ospita il Distretto Sanitario che potrebbe essere trasferito in un piano dell’ospedale dove era allocato fino a qualche mese fa. Questa struttura, alla fine dell’emergenza, non si trasformerebbe in una cattedrale nel deserto, infatti potrebbe essere utilizzata come RSA o come reparto per la riabilitazione ortopedica. Lo stesso Presidente della Regione Abruzzo, durante la visita al Mazzini di Teramo, ha dichiarato che ci dovranno essere aree attrezzate esclusivamente ai pazienti affetti di coronavirus, aree nettamente separate dal resto degli ospedali e completamente dedicate al coronavirus, come lo sono il terzo lotto a Teramo e la palazzina che stanno allestendo a Pescara. La strategia sanitaria di realizzare Covid-Hospital in ogni territorio è suggerita anche dal ministro Speranza, il quale afferma che nel decreto di maggio saranno stanziati 3 miliardi di euro per creare strutture dedicate in tutte le regioni. D’altronde nessuno può sapere quando il Covid sarà sconfitto e la funzionalità dell’ospedale San Liberatore potrebbe essere compromessa per troppo tempo. Neanche le parole del consigliere regionale Di Matteo ci rassicurano, siamo certi che, dopo le sue dichiarazioni, il Presidio di Atri tornerà ad essere il presidio che era, ma, se l’emergenza dovesse durare anni, chi ci assicura che chirurghi del calibro di Paone, Liberatore, Fascione e Narcisi aspetteranno il ripristino della completa funzionalità dell’ospedale? Crediamo che le decisioni sul futuro del San Liberatore vadano partecipate e quanto più possibile condivise. Non vorremmo che le stesse siano state già prese non tenendo in considerazione le nostre riflessioni e le nostre proposte, a cui aggiungiamo, tra le molte perplessità e dubbi che ci attanagliano, una curiosità.
Dove troveranno gli anestesisti per gestire le sale operatorie e le due rianimazioni, una Covid ed una free? Non ci vengano a raccontare che a breve l’ala Covid sarà smantellata (altrimenti non si giustificano neppure gli investimenti annunciati su Pescara), gli scienziati non hanno assolutamente escluso una seconda ondata pandemica ed infatti l’Unità di Crisi ha previsto un eventuale nuova riconversione di tutto il presidio se ciò dovesse accadere. La FP C.G.I.L. non permetterà che i lavoratori dell’Ospedale di Atri corrano il rischio di lavorare per anni in una struttura Covid che non garantisca la sicurezza degli operatori e dei pazienti. Altro che piccole opere di muratura. Non siamo più in emergenza e i reparti del vecchio padiglione dovranno avere tutti i requisiti di legge: camere singole a pressione negativa con pareti lavabili , servizi igienici all’interno, ingresso dotato di lavelli, percorsi sporchi e puliti, una dotazione organica adeguata per un paziente che necessita di una assistenza intensa, numero adeguato ed idoneo di DPI ed infine spogliatoi idonei dotati di docce. Se la Asl di Teramo non adeguerà il vecchio padiglione del San Liberatore secondo le indicazioni qui appena accennate, avvieremo i necessari ricorsi per via amministrativa (impugnando gli atti), oltre a rivolgerci alla giustizia ordinaria (con denuncia alla Procura) per la tutela, il benessere ed il diritto alla salute delle lavoratrici e dei lavoratori del Presidio Ospedaliero di Atri”.
Il documento è sottoscritto dal dirigente della FP CGIL Abruzzo – Molise Delo Tosi e dal dirigente della FP CGIL Teramo Natale Di Marco.