Sarà l’occasione per tornare a parlare delle tre più importanti vertenze metalmeccaniche teramane e dei rischi occupazionali ed economici che corrono anche le lavoratrici ed i lavoratori delle altre aziende della provincia se non si affronterà, in maniera decisa, il problema del lavoro industriale.
I 150 dipendenti dell’ATR di Colonnella, oltre a continuare invano ad attendere che Antonio Di Murro paghi i 5 stipendi arretrati, stanno vedendo morire la loro azienda, ormai ferma da febbraio: quella che era un’eccellenza tecnologica e produttiva, rischia di diventare una cattedrale nel deserto con l’inevitabile portato di disoccupazione e povertà.
“Una vertenza”, scrivono i sindacati, “che dimostra anche lo scarso interesse della politica sui temi del lavoro: nonostante le promesse del Presidente della Regione Abruzzo Marco Marsilio, ad oggi non si è riusciti ad avere nessuno spiraglio perché si trovi una soluzione, né dal Mise si è avuto alcun riscontro alle richieste di interessamento”.
Gli 80 lavoratori della SELTA di Tortoreto attendono che i commissari vendano l’azienda e finisca l’amministrazione straordinaria. Un’operazione che presenta tante incognite e che fa temere per il futuro del sito teramano. Un sito che ha dimostrato, con il notevole aumento di fatturato e di ore lavorate degli ultimi mesi, di possedere quelle competenze necessarie ad un’azienda che abbia interesse investire in tecnologia e professionalità. Una realtà che per troppo tempo il management non ha voluto vedere e che la politica locale non ha saputo valorizzare.
Alla VECO di Martinsicuro, fallita lo scorso mese di gennaio, solo a metà giugno sono arrivati i primi soldi della cassa integrazione ferma a dicembre. A questo si sommano le tinte fosche che disegnano il futuro: il sito industriale ha le carte in regola anche dal punto di vista ambientale per essere attivo e produrre fino al 2025 ma ad oggi mancano iniziative imprenditoriali per una ripartenza e forti sono le pressioni che si percepiscono affinché quell’area cambi vocazione e diventi oggetto di una speculazione edilizia.
Per i 50 dipendenti della storica fonderia va costruito un futuro che sia fatto di lavoro e non di sussidi che, oltre ad essere pochi e di difficile accesso, non hanno il sapore della dignità. È necessario che i parlamentari locali, che già in passato si sono interessati alla vertenza, si facciano carico dell’attivazione di un tavolo al Ministero dello Sviluppo Economico.
“Alle tre maggiori vertenze”, si legge in una nota delle segretarie provinciali di Fim Cisl e Fiom Cgil, “si sommano i problemi che, in particolare dopo l’emergenza Covid 19, si stanno vivendo in molte aziende della provincia. Continuano ad essere moltissime le ore di cassa integrazione che, quando arriva, non è comunque sufficiente per vivere. Ma a preoccupare ancor di più è il futuro dell’intero settore industriale.
La crisi dell’automotive rischia di produrre pesantissimi effetti anche sui circa quattromila occupati nell’indotto dell’auto.
La riduzione dei consumi e i mancati investimenti privati, stanno minando i percorsi di sviluppo verso modelli produttivi che abbiano al centro l’attenzione verso gli effetti sociali ed ambientali.
Per queste ragione c’è bisogno di costruire, insieme, un futuro che sia fatto di lavoro. Un lavoro che si impegni a garantire reddito e diritti.
La sfida sarà ripensare i territori attorno a questo impegno, affinché nessuno venga abbandonato perchè, da questa crisi, nessuno ne esce da solo”.