Una signora di Bisenti, ad aprile 2019, si è vista recapitare dall’INPS una richiesta di rimborso di oltre 3.600 euro perché la defunta madre avrebbe percepito ratei dell’indennità di accompagnamento che non le spettavano.
Per evitare ulteriori problemi la signora in buona fede provvedeva a restituire la somma richiesta, ma a distanza di qualche mese si è rivolta all’avvocato Vincenzo Luca Salini per vederci chiaro.
“Per comprendere i fatti occorre precisare – afferma Salini – che la domanda per l’indennità di accompagnamento veniva presentata dalla signora, anziana e gravemente malata, in data 25 ottobre 2011, e l’iter per il riconoscimento si concludeva positivamente il 4 aprile 2012. E’ vero che a distanza di pochi giorni, il 28 aprile per la precisione, la signora decedeva ma la somma degli arretrati veniva erogata in modo pienamente legittimo in considerazione del fatto che il versamento dei ratei decorre dal mese successivo alla data di presentazione della domanda, avvenuta ad ottobre 2011 mentre la dante causa moriva a fine aprile 2012, dopo che le era stato riconosciuto il beneficio. Quindi nessuna somma poteva essere richiesta alla figlia erede, che non era tenuta a versare la quota di oltre 3.600 euro richiesta dall’INPS. Così in considerazione del fatto che la richiesta riguardava il rimborso degli arretrati dal 1° novembre 2011 al 31 maggio 2012, ho inoltratoo missiva in cui invitavo l’ente di previdenza a restituire alla figlia erede i ratei maturati e percepiti in modo regolare e legittimo”.
La vicenda ha avuto un esito positivo in quanto l’INPS, dopo aver verificato attentamente, ha riconosciuto la correttezza delle richieste e proceduto a rimborsare alla figlia erede tutte le mensilità percepite regolarmente dall’anziana madre.