Giulianova. Il “caso” della palazzina di via Gramsci balzò agli onori della cronaca locale grazie ad un intervento del sindaco di Giulianova, Francesco Mastromauro, che nell’agosto del 2012, recitava testualmente: “Transitando per via Cesare Battisti, una traversa di via Gramsci, a poca distanza dal Belvedere, il sindaco ha notato il rendering di un edificio che si intende realizzare con destinazione uffici, negozi e residenze, il palazzo “Antonio Gramsci”, e non trattiene la sua disapprovazione.
“Con tutto il rispetto per il progettista, che mi dicono molto noto ed apprezzato addirittura in ambito nazionale”, dichiara il sindaco, “purtuttavia mi sembra che la fisionomia del nuovo edificio, ultramoderno, faccia a pugni con il contesto in cui è inserito, caratterizzato da preesistenze tardo ottocentesche e di primo Novecento. D’altronde la zona in cui si colloca è quella dell’espansione urbana extramuraria avutasi a partire dagli anni settanta-ottanta dell’Ottocento; fuori, quindi, dell’antico perimetro quattrocentesco, ma comunque entro un’area che si connota per la presenza di edifici con uno stile omogeneo, e comunque con una loro connotazione precisa. So bene – prosegue Mastromauro – che per molti non è temerario inserire emergenze ultramoderne all’interno di aree con tessuti edilizi antichi, modificando così la città consolidata e portando di conseguenza nuove funzioni all’interno di edifici storici. Una coesistenza che, per citare un esempio molto noto, si ravvisa nell’ambasciata olandese di via Michele Mercati a Roma, con interventi che hanno interessato un villino neo- rinascimentale risalente al 1929. O più ancora nella City di Londra. Ma Giulianova non è Londra, né Barcellona, ed io credo che il progetto debba essere rivisto. Per questo – conclude il sindaco – ho chiesto l’intervento del dirigente Maria Angela Mastropietro in ordine al permesso di costruire, così come pubblicamente chiedo ai committenti di rivedere il progetto dell’edificio, rimettendomi alla loro sensibilità”. Il progetto dell’edificio, secondo quanto appurato dal sindaco, il 22 marzo aveva ricevuto parere contrario, unicamente per questioni di tipo tecnico, dalla Commissione edilizia, che poi, il 30 aprile, aveva emesso parere favorevole, comunicato alla ditta il 4 maggio seguente.
A seguito di tale esternazione in città si apriva un dibattito sull’opportunità di inserire via Gramsci all’interno della perimetrazione del centro storico, per salvaguardare gli edifici tardo ottocenteschi, o addirittura più antichi, che affacciano sulla strada. In particolare la sezione giuliese di Italia Nostra evidenziava: “Pur non essendo stata inserita nel suo tratto finale all’interno del piano particolareggiato del centro storico, identificato dallo strumento comunale soprattutto nella parte quattro-cinquecentesca, l’area su cui insiste l’edificio che verrà abbattuto riveste una fondamentale importanza di carattere urbanistico. La città storica infatti si estende ben oltre il tracciato delle abbattute mura civiche e pertanto deve essere tutelata così come il cosiddetto “centro storico”. Senza certamente cadere in uno sterile conservatorismo che ne proibirebbe la fruibilità ai contemporanei, Italia Nostra si appella agli amministratori perché si adoperino per inserire via Gramsci, da casa Maria Immacolata al Belvedere, nella zona cosiddetta di centro storico. Il tratto interessato dalla demolizione, tra la Villa Marcozzi con il suo parco e il vecchio palazzo del Banco di Napoli e dell’Albergo Belvedere, è parte di quel “cannocchiale” verso il duomo che assieme all’ottocentesca piazza con il monumento a Vittorio Emanuele II di Raffaello Pagliaccetti, è parte dell’addizione urbana avvenuta nella seconda metà del XIX secolo e che attualmente ancora si distingue per aver mantenuto in gran parte delle facciate dei palazzi e delle ville i caratteri storico architettonici dell’epoca. Il futuro immobile dunque andrà a rompere questa continuità di caratteri e quindi a compromettere irreparabilmente questo equilibrio di contesto. Seppure non composto di eminenze monumentali, il sistema urbano di cui trattasi è costituito anche da quell’edilizia cosiddetta “minore” che riveste una testimonianza fondamentale per la storia della città postunitaria. Italia Nostra onlus Giulianova ha inviato perciò queste e altre osservazioni di carattere normativo al Soprintendente per i Beni Architettonici e Paesaggistici dell’Abruzzo per fermare la distruzione del fabbricato in questione e per interrompere sul nascere questo pericoloso precedente che porterebbe ad altre demolizioni con la conseguente menomazione del volto della città ottocentesca.
Anche la voce delle opposizioni non si faceva attendere e mentre il PDL cittadino affermava: “Tutto questo non poteva essere prevenuto?Non potevano essere ascoltate le varie professionalità, la commissione edilizia e i funzionari del settore? Magari si poteva evitare un altro contenzioso, tanto pagano i cittadini. Non ci sorprende l’usuale comportamento snob e arrogante di questa amministrazione che sta isolando, sempre più, Giulianova rispetto alla situiazione provinciale e regionale. Preferiremmo sentirci dire che questa amministrazione sia uno scherzo nei confronti dei cittadini, ma se ciò non fosse inviteremmo tutti i giuliesi a fare una riflessione: in mano a chi è finita questa nostra povera città?”
Mentre il Cittadino Governante, pur condividendo l’osservazione del sindaco “visto che l’intervento, per la sua vicinanza al centro storico, inciderà sull’estetica di uno dei suoi ingressi” esprimeva perplessità sulle modalità dell’osservazione: Quel che resta poco comprensibile, è il fatto che un sindaco, passeggiando come un comune cittadino lungo le vie della città che amministra ormai da anni, si sia scoperto sorpreso e contrariato per le caratteristiche di un edificio il cui progetto ha completato l’iter procedurale. Eppure alcune situazioni potevano essere prevenute. Come per esempio, mettendo in campo specifiche competenze negli uffici comunali e nella commissione edilizia al fine di valutare negli interventi urbanistici la continuità di caratteri architettonici e gli equilibri di contesti anche e, soprattutto, nei singoli edifici che non rientrano nelle zone già normate e vincolate. Interpellando preventivamente La Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici dell’Abruzzo affinché accertasse l’esistenza dell’interesse culturale per l’edificio (come accadde per la scuola Acquaviva). Ma ciò non è accaduto. Magari una maggiore attenzione avrebbe potuto evitare l’insorgere di un possibile contenzioso con conseguenti costi e situazioni di incertezza. Nel frattempo, nonostante gli appelli di Italia Nostra, l’edificio veniva abbattuto, come previsto dal regolare permesso di costruire rilasciato dal Comune, con buona pace del tessuto tardo ottocentesco tanto caro al Sindaco, e dall’area spariva anche il cartellone con il rendering del nuovo intervento, rappresentazione grafica che aveva scatenato le perplessità del primo cittadino in quanto giudicata ultra moderna. Persa, ormai, irrimediabilmente una parte di “storia” urbanistica di Giulianova (cosa evitabile con un piano di recupero che prevedesse il mantenimento dell’edificio esistente e, magari, il suo ampliamento in chiave “attuale”) ai cittadini giuliesi non restava che attendere il “nuovo” progetto, redatto grazie alla mediazione del sindaco che aveva fatto appello alla “sensibilità” dell’impresa. E il mistero è stato presto svelato. Nei giorni scorsi è apparso il nuovo cartello di cantiere che rimanda al sito internet dell’impresa, dove si può ammirare il “nuovo” rendering dell’edificio. Risultato: nulla è cambiato. L’edificio ha mantenuto le sue caratteristiche “ultramoderne”, come d’altra parte permesso delle norme tecniche di attuazione e dal regolamento edilizio vigenti, e costituisce, nel bene e nel male, un elemento di discontinuità della quinta edilizia di via Gramsci, d’altra parte già modificata pesantemente da altri edifici, quale quello delle Poste e altre palazzine residenziali degli anni sessanta/settanta del secolo scorso. L’edificio potrà piacere o meno ma, quando si approvano i piani regolatori, occorre riflettere prima su quale futuro si voglia dare alla città, evidenziando le aree di tutela dell’edificato esistente e le modalità di recupero, riqualificazione, restauro di edifici, o isolati, che rivestono un carattere storico-artistico o valenza testimoniale, come previsto dalla normativa vigente.
E’ il caso di dire “tanto rumore per nulla”. Giulianova ha perso, e non è la prima volta, un pezzo del suo passato, a favore di un opera di architettura contemporanea (e di buona architettura ne ha bisogno anche la nostra città). Ci avremo guadagnato o perso? Ai posteri l’ardua sentenza.