Teramo. La Provincia di Teramo, il Comune di Teramo e il Comitato Provinciale dell’Anpi hanno celebrato, questa mattina, il 67° anniversario della Liberazione. Le celebrazioni sono iniziate, come da programma, alle ore 10 con l’omaggio al Monumento ai Caduti della Resistenza Teramana in Largo Madonna delle Grazie e con la cerimonia dell’Alzabandiera, accompagnata dalle note dell’Inno Nazionale “Fratelli D’Italia”.
Presenti Autorità civili e militari, Associazioni Combattentistiche e D’Arma, Sindaci e rappresentanti dei Comuni, Partigiani e numerosi cittadini.
Il corteo è poi partito alla volta di Viale Mazzini, con in testa i Gonfaloni Istituzionali della Provincia, dei Comuni e dell’Anpi, attraversando le vie del centro storico cittadino.
Alle ore 11 è stata deposta una corona d’alloro al Monumento ai Caduti di tutte le Guerre. Sono poi intervenuti, per i discorsi ufficiali della Festa della Liberazione, il Prefetto di Teramo Valter Crudo, il Sindaco Maurizio Brucchi, il Presidente della Provincia Valter Catarra e il Presidente Provinciale dell’Anpi Antonio Franchi. Le Celebrazioni sono proseguite, nella Villa Comunale “Stefano Bandini” di Teramo, dove sono stati commemorati quattro Teramani illustri. Si tratta di Alberto Pepe, medaglia d’argento al valore militare, ufficiale di artiglieria teramano, che l’8 settembre del 1943, si rifiutò di continuare a combattere al fianco dei Tedeschi. Fatto prigioniero, fu deportato in Germania e visse due anni di detenzione nei campi di concentramento di Wietzendorf e Meppen. Rifiutò l’adesione alla Repubblica di Salò e fu perseguitato duramente. A seguito di una decimazione per rappresaglia, per difendere gli altri detenuti, non esitò a sacrificare la sua vita. Il 4 aprile 1943 morì nel campo di punizione di Unterluss, nei pressi di Amburgo. E poi ancora, Mario Capuani, medaglia d’oro alla memoria per meriti partigiani, medico azionista, nativo di Torricella Sicura, che dopo l’ 8 settembre del 1943, fu attivo nell’organizzazione del movimento democratico e antifascista teramano. Nel suo ambulatorio medico, in Via Delfico a Teramo, riunì le figure di spicco dei partiti sciolti dal regime fascista. Unitamente al Capitano dell’Arma dei Carabinieri Ettore Bianco, ad Armando Ammazzalorso, a Felice Rodomonti e al Capitano d’artiglieria Mario Lorenzini, indicò il luogo di concentramento delle forze partigiane in località Ceppo di Bosco Martese. Fece da spola tra Teramo e Bosco Martese, in posizione di avvistamento delle truppe naziste che arrivarono il 25 settembre 1943. A seguito dell’eroica Battaglia di Bosco Martese tra partigiani e nazisti fu prelevato il 27 settembre 1943 dalla propria abitazione a Torricella Sicura e ucciso in località Ceppo. Romolo Di Giovannantonio, contadino teramano, che dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, si trasferì negli Stati Uniti d’America dove svolse l’attività di panettiere. Attivo nelle organizzazioni sindacali e politiche, fu prescelto dal centro esteri del PCI per fronteggiare il radicamento fascista nel centro Italia. Con il nome di battaglia “Delfo” agì tra Marche, Umbria e Puglia. Arrestato a Genova mentre passava il confine fu processato dal Tribunale Speciale Fascista e condannato alla reclusione nel Carcere di Civitavecchia e in quello di Pianosa di Puglia. Di Giovannantonio visse l’asprezza della carcerazione fascista, subendo violenze e privazioni con grande dignità. Gli fu persino negata l’insulina necessaria per la sua sopravvivenza fisica. Morì nel carcere giudiziario di Pianosa di Puglia, nel 1942, all’ età di 43 anni. E Berardo D’Antonio, giovane fabbro teramano, militante antifascista nelle file della FGCI, che assieme ad Alfredo Zaccaria (sarto) e Berardo Taddei (barbiere) venne arrestato nei pressi di Piano Grande di Torricella Sicura mentre distribuiva volantini contro il regime dittatoriale. Detenuti nel Carcere di Sant’Agostino di Teramo, furono poi trasferiti a Roma nel Carcere di Regina Coeli. Nelle aule del Palazzo di Giustizia di Roma, i tre giovani assistettero alla pesante condanna del Tribunale Speciale per le attività ostili al regime fascista, da loro intraprese. D’Antonio, dopo un anno di carcerazione, fu liberato e tornò a Teramo, gravemente malato di tisi, infezione contratta nell’Istituto di pena. Dopo un mese, nel 1929, all’età di 20 anni morì.