A tre anni dall’apertura, da parte della Procura di Teramo, di un fascicolo per lesioni colpose in merito alla vicenda delle protesi difettose all’anca della Depuy, il pm Stefano Giovagnoni ha chiesto l’archiviazione del fascicolo.
Nel corso delle indagini, infatti, non sarebbero emerse responsabilità perseguibili né in merito alla catena di sorveglianza, né in merito all’iter autorizzativo della messa in commercio del prodotto.
La DePuy, dopo aver rilevato il difetto, era immediatamente intervenuta ritirando il prodotto dal mercato e avvisando gli enti competenti a partire dal Ministero. E lo stesso Ministero e le Asl, nello specifico quella teramana, si erano attivate richiamando i pazienti per i controlli del caso.
Le indagini si erano concentrate anche sull’iter dell’autorizzazione in commercio delle protesi incriminate, con la consulenza affidata al professor Roberto Lombardi che aveva fatto emergere l’assenza di studi ed accertamenti, come disposti dalla normativa in vigore, sull’eventuale rilascio di materiali pesanti da parte delle protesi e quindi la loro tossicità. Un aspetto che avrebbe potuto configurare delle eventuali responsabilità a carico dell’azienda e del Ministero, ma solo se all’epoca fosse stato prevedibile, attraverso le conoscenze mediche e tecniche dell’epoca e quindi i relativi studi, che quelle protesi avrebbero potuto causare danni ai pazienti.
Aspetto, quest’ultimo, mai emerso nel corso delle indagini. Al contrario, la relazione dei due consulenti nominati dalla Procura per gli accertamenti tecnici nella prima fase delle indagini, i professor Rino Froldi e Mario Cingolani, aveva rilevato come le prime indicazioni su una possibile tossicità della protesi risalissero al 2010, quindi a molti anni dopo il loro impianto nelle due pazienti che avevano sporto denuncia. A far scattare le indagini, nel 2014, era stata proprio la denuncia di un’anziana che nel 2007 era stata sottoposta ad un intervento di protesi all’anca e alla quale se ne era poi aggiunta una seconda per un caso analogo.