Crac da 450 milioni di euro, chiesto processo per 36: fra loro, l’ex dg Tercas Di Matteo

Teramo. E’ ritenuto il responsabile del fallimento di una dozzina di società, che facevano parte della sua holding che aveva sede a Pomezia, con un passivo complessivamente accertato pari 450 milioni di euro.

Un crac per il quale il costruttore molisano Raffaele Di Mario, finito in manette cinque anni fa, rischia adesso il rinvio a giudizio sollecitato dalla Procura di Roma che gli contesta la bancarotta fraudolenta per distrazione e preferenziale, oltre ad alcuni reati fiscali.

Un procedimento che chiama in causa anche altre 35 persone, tra stretti collaboratori di Di Mario, amministratori di singole società, prestanome, ex dirigenti della Unicredit Corporate Banking e dell’Italease e che contempla i fallimenti, dichiarati dal tribunale di Roma tra il 2011 e il 2012, di Dimafin spa, Dima Costruzioni spa, Diemme Costruzioni spa, Belchi ’86 srl, Dima Rent srl, Cos.Edi srl, Cogest srl, Stone Project srl, Pontente srl, Dima Tour, Superdim srl e Hote Selene spa. Sulla richiesta di processo il gup si pronuncerà a fine dicembre.

In relazione a un paio di episodi di bancarotta, al vaglio del giudice c’è anche la posizione dell’ex direttore generale della Banca Tercas Antonio Di Matteo,

già sotto processo davanti alla nona sezione penale del tribunale per associazione per delinquere aggravata dalla transnazionalità, ostacolo all’esercizio delle funzioni di vigilanza della Banca d’Italia, appropriazione indebita e riciclaggio.

Secondo la Procura di Roma, dal 2005 al 2011, approfittando della sua posizione di vertice nell’istituto di credito teramano, Di Matteo avrebbe utilizzato il patrimonio e le potenzialità finanziarie della Tercas ad esclusivo vantaggio proprio di alcuni imprenditori amici.

E Di Mario, per aver fatto parte di quest’ultimo gruppo, avrebbe ottenuto “ingenti finanziamenti con modalità non rispettose dei protocolli istruttori adottati dalla Banca nei confronti di tutti gli altri clienti e che, all’esito del commissariamento, sono stati qualificati tutti come crediti di difficile recupero (ovvero ‘ad incaglio e/o sofferenza’) per un importo complessivo di 200 milioni di euro”.

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