Pescara. “Purtroppo è un processo iniziato male sin dalle prime fasi di indagine, funestato da contrasti all’interno degli stessi organi di polizia giudiziaria che indagavano e infine deragliato in un procedimento parallelo per depistaggio per fatti che, invece, erano strettamente connessi al processo principale e che avrebbero potuto, qualora presenti nel perimetro di vaglio del giudicante, fare la differenza”.
Il giorno dopo la sentenza del processo Rigopiano, commenta così Patrizia D’Agostino, difensore parte civile di Rossella Del Rosso, sorella di Roberto (in foto), il proprietario resort a sua volta morto insieme alle altre 28 vittime della valanga che travolse l’albergo il 18 gennaio 2017.
“Dalla lettura del dispositivo, il nesso causale tra evento e condotte penalmente rilevanti sembrerebbe ristretto alla sola fase emergenziale il che, seppur coerente da un punto di vista processuale, contrasta con l’orientamento della Procura che, sin dalle prime fase di indagini, ha ritenuto di escludere dal perimetro delle responsabilità i vertici della Protezione Civile Regionale, fortemente coinvolta, invece, negli eventi che caratterizzavano quei giorni in Abruzzo – sottolinea D’Agostino – Questa assenza ha comportato la condanna solo per alcune responsabilità marginali dell’intera vicenda”.
“Leggeremo le motivazioni di tali scelte – prosegue il legale – principalmente per comprendere il perché non siano state considerate penalmente rilevanti le condotte rilevanti nella fase dei soccorsi, specialmente per coloro che, pur a conoscenza del dramma che si stava consumando a Rigopiano, sollecitati in ogni modo sin dalle prime ore della mattina del 18 gennaio (da Rossella Del Rosso in Provincia e da Gabriele D’Angelo con le telefonate al COC di Penne e in Prefettura), pur potendosi attivare sin dalla mattina per prestare soccorso ed evacuare la struttura, non sono stati ritenuti responsabili per le loro azioni”.
E la sorella dell’imprenditore, ieri a caldo in aula, aveva sottolineato proprio “La catastrofica gestione dell’emergenza da parte della Regione completamente assente da questo processo; le telefonate del povero Gabriele D’Angelo al Coc di Penne e in Prefettura, in gran parte ignorate; la responsabilità di tutti i politici per la mancata attuazione della legge regionale 47 del 1992 (Norme per la previsione e la prevenzione dei rischi da valanga, ndr) che avrebbe impedito questa tragedia e per ultimo, non di poco conto, il ruolo esercitato dalla Dicomac nella fase dell’emergenza”.