Scafa. Dopo quasi un secolo, sono tornati a casa luce dei bassorilievi funerari in pietra della Majella, reperti del I secolo d. C, raffiguranti elementi del mondo militare, come elmi, corazze e scudi.
Era, infatti, il 1925, quando, a Scafa, nel corso di alcuni scavi fatti per la costruzione di nuovi fabbricati, casualmente, vennero alla luce. Verosimilmente, i fregi appartenevano a tombe in cui erano stati sepolti alti ufficiali dell’esercito romano. Il che induce a credere che Ceio – questo era il nome di Scafa nell’età imperiale – fosse un centro importante, essendo frequentata da personalità dell’alta società romana.
Scafa, nel 1925, era in provincia di Chieti, così i resti, trovati del tutto occasionalmente, furono trasferiti nel capoluogo, dove, in 96 anni, sono passati attraverso diverse sedi: l’Antiquarium Teatino, il Museo archeologico nazionale di Villa Frigerj, quindi il Museo archeologico nazionale della Civitella, infine, il Tribunale.
Nel pomeriggio di oggi, i preziosi bassorilievi sono stati trasferiti a Scafa, ora sono nel salone Val.Si.Mi (Valorizzazione siti minerari, dov’è la mostra permanente sulla storia del bacino minerario della Valpescara), l’ex asilo delle suore Clarisse. È il risultato d’un accordo concluso tra Tribunale di Chieti, la Soprintendenza teatina, il Sindaco di Scafa, Maurizio Giancola ed i Vigili del Fuoco, che si sono occupati del trasporto dei resti (un’operazione tutt’altro che semplice).
Trattandosi di frammenti di valore inestimabile, Giancola ha stipulato un’intesa anche con il Comando dei Carabinieri della Compagnia di Popoli e con la stazione locale dell’Arma, relativamente ai controlli di sicurezza.
Molti cittadini di Scafa vennero a conoscenza dell’esistenza di tali fregi leggendo il libro “Scafa 50 anni”, scritto da Gianfranco De Luca, Nella Martino e Gabriella Di Giandomenico, edito dal Comune, nel 1998. «La fattura dei bassorilievi ed i simboli militari che vi sono raffigurati ci consentono di affermare che, probabilmente, le persone sepolte erano d’alto rango e che Ceio era una località tutt’altro che marginale», ci spiega la professoressa Gabriella Di Giandomenico, una degli autori del libro summenzionato. «Sono molto soddisfatto», dichiara il primo cittadino Giancola, mentre i reperti vengono collocati nel salone Val.Si.Mi, «perché abbiamo riportato nel nostro paese qualcosa di molto importante, che appartiene alla nostra storia. Ringrazio tutte le istituzioni che hanno permesso che ciò avvenisse, la direttrice della Soprintendenza ed il Comando dei Vigili del fuoco di Chieti. Oggi è emozionante essere qui.»