Sempre più critica si fa la posizione di Angelo Ciarelli, rom pescarese, fratello dell’imputato per l’omicidio Rigante, al processo per l’uccisione di Angelo Tommaso Cagnetta, 42enne colpito mortalmente da un proiettile esploso nel cortile del Ferro di Cavallo di Rancitelli il 2 luglio scorso.
Di incidente, quasi certamente, si è trattato: due ‘tossici’ tentano la fuga per non pagare 10 euro per una dose ad una spacciatrice, un gruppetto cerca di bloccare l’automobile dei fuggitivi e qualcuno spara, centrando per sbaglio Cagnetta nel mucchio. Poche ore di indagini della squadra Mobile e il dito viene puntato contro Ciarelli, arrestato ma che continua a negare di essere stato presente sul piazzale più malfamato di Pescara, dove però abita la sorella Eva.
Questa mattina, invece, nella terza udienza del processo in corso davanti alla Corte d’Assise di Chieti che lo vede unico imputato, Ciarelli ha volontariamente deposto per ammettere di esserci stato quel pomeriggio a Rancitelli, ma solo per andare a far visita ad Eva. Una visita, secondo il rom, andata a vuoto perche la sorella non era in casa, quindi mentre si stava allontanando dal cortile ha sentito lo sparo e, ben conscio della sua condizione di sorvegliato speciale, ha deciso di scappare per non aggravare la sua posizione, frutto dei 15 anni di carcere scontati per l’omicidio del carabiniere Marino Di Resta.
Una deposizione che contrasta con quanto ritrovato dalla scientifica sull’auto dei tossici, ovvero le impronte di una mano di Angelo Ciarelli. Ma a metterlo in cattiva luce potrebbero essere, invece, la madre e la sorella del pregiudicato: la Corte, infatti, ha ammesso agli atti probatori la trascrizione di un’intercezzazione ambientale, tradotta dalla lingua zingaresca, di una conversazione avuta tra le parenti dell’imputato all’interno del tribunale di Vasto, dove Massimo Ciarelli è rinchiuso per l’omicidio dell’ultras 24enne. Dal romanì si intuisce che la preoccupazione delle due donne per le responsabilità di Angelo Ciarelli per gli eventi del 2 luglio 2012. L’indignazione dell’avvocato Metta, difensore dell’imputato, si è concentrata sulla fattezza della traduzione delle parole espresse nel complicato idioma dell’etnia nomade, ma la polizia pescarese, che da decenni è ormai costretta a “lavorare” con la criminalità rom, è corpo ben esperto nel settore.
Prove a parte, però, sono vari i testimoni che hanno riferito della presenza dello zingaro in via Tavo, seppur qualcuno di questi ha ritrattato in seconda battuta quanto riferito a caldo al capo della Mobile Pierfrancesco Muriana. Il timore, ben fondato, del Pm D’Agostino è che siano stati i tanti familiari dell’imputato a far pressione su chi ha parlato per far correggere le deposizioni con un “non ricordo”. Per questo, oggi la Corte ha anche disposto che venga sentito in aula, con video registrazione della sua testimonianza, Vincenzo Gagliardi il quale, presente sul posto dove morì Cagnetta, sarà chiamato a descrivere il gesto compiuto quel giorno dalla persona che sparò. L’occasione sarà la prossima udienza del processo, aggiornato al 14 giugno.