Pescara. Più tasse, meno servizi. La retta annuale per frequentare l’università D’Annunzio supera i mille euro, colpa anche degli aumenti regionali e di contributi specifici per servizi che gli studenti dicono di non avere mai visto. Il bilancio dell’ateneo parla di 192 milioni di entrate: uno zero tondo per le voci di spesa per contratti e incarichi ai docenti, caselle a tre zeri per stipendi dirigenziali e finanziamenti a comitati d’etica e fondazioni.
Dura la vita dello studente universitario sotto la scure della spending review. Ancor prima della venuta del governo tecnico, l’università D’Annunzio era stata condannata dal Tar a rimborsare gli allievi per aver preteso un contributo superiore alla soglia consentita dalla legge di circa 2,5 milioni. Quei soldi, in attesa della sentenza del consiglio di Stato, al quale l’ateneo teatino-pescarese si è appellato, non sono ancora rientrati nelle tasche dei giovani e delle loro famiglie. Con le nuove norme, approvate lo scorso agosto, la tassa regionale per il diritto allo studio passa indiscriminatamente da
Su queste cifre, nel corso di una assemblea studentesca, si sono soffermati a riflettere i rappresentanti dell’associazione 360 gradi. Tante le incongruenze tra quanto stabilito dalle leggi e quanto riportato dal bilancio accademico del 2011. Il decreto del Presidente della Repubblica del ’97 in materia contributiva obbliga gli atenei a non imporre tasse agli iscritti superiori al 20 per cento della somma ricevuta dallo Stato. Il trasferimento statale ricevuto lo scorso anno dalla D’Annuncio è stato di 82 milioni, quindi avrebbe dovuto tassare gli immatricolati per non più di 16,4 milioni. Ma il bilancio riporta per questa voce un’entrata di 20 milioni. Un’eccedenza di 3,6 milioni, alla quale 360 gradi ritiene di dover aggiungere anche il conteggio della quota relativi a biblioteche e laboratori: ulteriori 1,4 milioni. “Quell’aumento”, afferma Francesco Malatesta, “era stato fissato proprio a causa di tagli al finanziamento statale e imposto ai soli nuovi immatricolati per il 2010. Poi, invece, fu esteso a tutti gli iscritti e mantenuto tuttora, sebbene non tutti i corsi di laurea prevedano attività di laboratorio e i servizi delle biblioteche sono addirittura diminuiti”. Un esempio lampante dei servizi non corrispondenti agli aumenti: “E io pago”, recita il motto degli studenti, parafrasando il celebre Totò. Tra gli allievi di tre facoltà presenti all’assemblea, lingue, scienze manageriali e architettura, solo questi ultimi sostengono di frequentare praticamente dei laboratori, mentre per gli altri non si avverte una reale distinzione tra le didattiche laboratoriali e le ore di teoria. Non che ai futuri architetti vada meglio: “Facciamo lezione seduti per terra perché mancano i banchi e a volte non bastano i fogli per disegnare”, grida qualcuno dalle poltrone dell’aula rossa, dove si è tenuta la riunione questa mattina. “Quei 100 euro in più, quindi, perché si pagano? Per un’invenzione?”, chiede provocatoriamente Malatesta.
Ma la spending review, con una normativa tutta nuova approvata nel silenzio estivo del 14 agosto, ha spazzato via tutti i limiti del ’97, dando da oggi carta bianca ad un’università già tagliuzzata e profondamente lacunosa nelle sue principali attività. E la lettura del bilancio dell’ateneo dannunziano ne dà la più triste conferma, aggiungendo che i soldi in più sborsati da chi studia a Pescara e Chieti, in realtà, difficilmente potenziano il livello delle attività curriculari della D’Annunzio.
IL BILANCIO DELL’UNIVERSITA’: ZERO EURO AI DOCENTI
Uno sproposito, 192.651.350,56 euro, è il totale delle entrate del 2011. Uno sproposito, appunto, se si legge quello zero che piange alla voce spesa per docenti a contratto e incarichi di insegnamento. Per gli incarichi dirigenziali, invece, si è speso 288 mila euro, ridotto dai 410 inizialmente previsti solo dallo scandalo dell’ex direttore generale Marco Napoleone. Altri 500mila euro, poi, vengono spesi per sostenere le attività della fondazione D’Annunzio, ovvero un’organizzazione che tra i suoi scopi avrebbe la ricerca di nuovi fondi. Per le indagini e i pareri espressi dal Comitato d’Etica, ancora, se ne vanno 275 mila euro. Un ateneo votato più allo sport che alla cultura, si potrebbe dire: per mantenere gli impianti sportivi e le imprese del Cus si spendono1,7 milioni. Scorrendo la tabella redatta dai contabili dell’università, si torna ancora a trovare delle evidenti incongruenze: i contributi incassati da chi sostiene gli esami di Stato ammontano a 1,8 milioni, ma per gestire le stesse prove d’abilitazione vengono spesi meno di 130mila euro. E poi milioni e milioni impegnati per ciò che gli studenti, invece, maggiormente considerano carenti: 5 milioni per la manutenzione ordinaria e straordinaria e il ripristino di beni mobili e immobili (in realtà cadenti), 6,7 milioni per la vigilanza e la pulizia degli spazi, 1,6 milioni per la rete informatica, 770mila euro per le biblioteche. Mentre i dati vengono snocciolati, però, gli studenti che assistono all’assemblea reagiscono come di fronte ad una colossale presa in giro.“Manutenzione per cosa se cade tutto a pezzi?”. “Milioni spesi per una rete internet che non funziona mai”: agli iscritti della D’Annunzio, in conclusione, in conti non tornano. E dire che la disponibilità a pagare ci sarebbe: “Se a più tasse corrispondessero più servizi io pagherei volentieri”, bisbiglia una ragazza. Invece, a più tasse corrisponde solo più malcontento.
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Daniele Galli