Pescara. La Squadra Mobile di Pescara sta eseguendo 15 misure cautelari nei confronti dei componenti di pericolose gang, formate da rumeni e italiani, accusati di associazione per delinquere, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, estorsione e rapina.
Le indagini, che costituiscono il proseguimento della prima operazione “Scoiattolo” del maggio 2011 che aveva già portato all’emissione di 28 misure cautelari, sono durate diversi mesi e si sono basate sia sulle dichiarazioni di alcune delle ragazze sfruttate, sia su numerose intercettazioni e servizi di controllo e pedinamento. E’ stata così scoperta una gestione organizzata e imprenditoriale dell’affare della prostituzione nella città di Pescara. Decine di giovani rumene venivano reclutate in patria, spesso con l’inganno di un falso posto di lavoro, ma in realtà venivano avviate alla prostituzione tra le città di Pescara e Bari. In molti casi le donne venivano controllate e sottomesse con violenze e minacce.
All’alba di questa mattina, dunque, è giunta alla fase finale l’operazione “Scoiattolo 2”, condotta dalla Squadra Mobile di Pescara, sotto la direzione della locale Procura della Repubblica (pm Giuseppe Bellelli) e coordinata dal Servizio Centrale Operativo di Roma.
Un’indagine che ha portato il GIP del Tribunale di Pescara, Luca De Ninis, ad emettere 15 misure cautelari, di cui 11 applicative della custodia cautelare in carcere, e 4 del divieto di dimora. I provvedimenti sono tuttora in corso di esecuzione.
L’attività investigativa svolta ha consentito di smantellare più bande criminali dedite allo sfruttamento della prostituzione che hanno occupato tutte le zone nevralgiche e più redditizie della città, relegando altri gruppi criminali – come quelli che gestiscono la prostituzione proveniente dell’Africa centrale – in altre zone più periferiche, in particolare lungo la riviera di Montesilvano.
I gruppi criminali rumeni, di fatto, si sono divisi il territorio in zone ben distinte: la zona della riviera a nord del centro cittadino, la zona centrale a ridosso della stazione ferroviaria, la zona della riviera Sud, a sua volta suddivisa in due “sottozone”.
Sul territorio agivano numerosi soggetti coinvolti nell’attività dello sfruttamento delle prostitute, aggregati in diverse gang che, ovviamente, erano in concorrenza tra loro. Nonostante ciò erano rari e di breve durata i conflitti che insorgevano tra le varie fazioni, grazie al fatto che il territorio era stato suddiviso secondo una pianificazione e ripartizione strategica e con confini netti e generalmente riconosciuti.
Si trattava, in sintesi, di una gestione organizzata e quasi “imprenditoriale” dell’affare della prostituzione.
Da un lato vi era, infatti, un unico obiettivo che accomunava tutti i soggetti e tutti i gruppi, ovvero quello del massimo profitto. Dunque una guerra aperta per il controllo del territorio sarebbe stata deleteria per gli affari di ciascuno e quindi era interesse comune che tutto si svolgesse in maniera predeterminata e tranquilla, minimizzando i controlli da parte delle Forze di Polizia, che stavano già creando seri problemi con la loro pressante attività. Dall’altro lato, quando si presentavano all’orizzonte nuovi soggetti o emergevano conflitti inevitabili, entravano in azione i soggetti più temuti, posti ad un livello superiore dell’organizzazione, con pesanti minacce o anche con azioni violente.
Costoro avevano una tale capacità intimidatoria che riuscivano persino a imporre il pagamento di una sorta di “tassa di occupazione” dei marciapiedi delle rispettive zone. Inoltre, in alcuni casi sono stati compiuti dei veri e propri “rapimenti” di prostitute appartenenti ai gruppi rivali, e ciò per i conflitti sorti circa il controllo della zona di pertinenza. Conflitti che non arrivavano alle estreme conseguenze soltanto grazie all’intervento dei vari protettori.
In ogni caso le ragazze, che venivano chiamate in gergo “bagagli” o “scoiattoli”, venivano spesso intimorite con pesanti minacce, che sortivano l’effetto di rafforzare il legame di sottomissione nei confronti dei loro sfruttatori. Questo assoggettamento le induceva a impegnarsi in turni di lavoro massacranti per guadagnare più soldi possibile. E tali profitti permettevano ai loro aguzzini di condurre una vita agiata e di effettuare investimenti in Romania.
L’organizzazione piramidale delle bande, per consolidare questo legame di asservimento psichico e fisico, comprendeva al livello più basso anche la figura del “caporale”: ovvero una prostituta particolarmente fidata che aveva il compito non solo di controllare le altre donne, ma persino di istruire le nuove leve arruolate dai capi. Istruzioni che si spingevano sino alla imposizione dell’abbigliamento da indossare, ovvero abiti provocanti e succinti anche allorquando le condizioni meteo erano davvero avverse. Ovviamente le giovani donne ricevevano dal caporale anche lezioni sull’atteggiamento da tenere in strada per adescare i clienti. Ma la pressione che le bande criminali esercitavano su queste ragazze non si esauriva con l’ausilio di tali fidate prostitute, bensì attraverso un controllo asfissiante e incessante che non lasciava alcun margine di libertà, neanche relativamente alla modalità di posizionamento sul marciapiede.
A causa dello spiccato “nomadismo” che contraddistingue le attività criminali di tale specie, considerato altresì che molti degli indagati sono privi di una fissa dimora sul territorio nazionale, al momento sono state eseguite le seguenti tre misure cautelari: Mihai Vasilica (chiamato Jean), 30 anni, nato a Bucarest (Romania), in Italia senza fissa dimora, destinatario di misura cautelare in carcere; Baronescu Cristian Robert, 26 anni nato a Constanta (Romania), in Italia senza fissa dimora, destinatario di misura cautelare in carcere; Holban Alexandru, nato in Romania il 22 anni fa, in Italia senza fissa dimora, destinatario del divieto di dimora a Pescara, Montesilvano e Francavilla al mare. Tramite il Servizio Interpol, sono in corso ricerche anche in territorio estero per rintracciare gli altri soggetti al momento latitanti.