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Dubbi e polemiche sulla morte di Morosini. Domani l’autopsia

Pescara. Il dolore accompagnato dalla rabbia e dalle polemiche per i ritardi ai soccorsi: restano tanti gli interrogativi sulla morte di Piermario Morosini. Stamattina la fidanzata ha effettuato il riconoscimento, domani l’autopsia, mentre il mondo sportivo si è stretto attorno alla tragedia.

Impossibile descrivere il dolore di chi era vicino a Piermario Morosini, ragazzo che 26 anni non li aveva ancora compiuti, stroncato da un malore sul prato dello stadio Adriatico alla mezzora di Pescara-Livorno, una partita di calcio, quella che per lui era diventato il settimanale raggiungimento di un sogno, oltre che di una carriera professionistica. Quel dolore, forse, può essere descritto dalle immagini che hanno fatto ormai il giro d’Italia e d’Europa, ma che più riescono a rendere l’idea dello choc e della rabbia vissuti in quei tragici minuti sul campo e in quelli drammatici al Pronto Soccorso del Santo Spirito. Tanti i sentimenti che hanno sconvolto giocatori, società sportive, tifosi e tutta l’Italia, in un ciclone che avvolge il tutto da domande e interrogativi, inevitabilmente sfociati in polemiche.

L’Ambulanza bloccata dall’auto dei vigili. La prima domanda, quello più indignante, è quello che si chiede tutta Italia: cosa ci faceva un’auto di rappresentanza della Polizia Municipale nel bel mezzo dell’ingresso maratona? Quel varco, meno di venti metri dalla linea bianca del campo, è l’unico ingresso per i mezzi di soccorso; l’ambulanza del 118 era pronta ad entrare sul piazzale interno dello stadio, ma la Fiat Punto grigia con le bande blu l’ostacolava. Intanto Morosini era già steso con i sanitari della Misericordia e i medici sportivi a premergli sul petto; gli stessi giocatori, Schiattarella del Livorno e Verratti del Pescara sono andati a prendere la barella sul’ambulanza bloccata per portarla sul prato a mano, mentre l’istinto di un pompiere ha rotto il lunotto dell’automobile per metterla in folle e farla spostare a spinta. Su quella Punto il sindaco Luigi Albore Mascia ha già ordinato un’inchiesta interna, senza pronunciarsi anticipatamente sugli esiti, attendendo i dettagli per parlare, ma promettendo “provvedimenti equi ma inflessibili”. Lui e l’assessore Santilli lo giudicano “un comportamento superficiale, e chi ha sbagliato pagherà”, ma si giusficicano: “C’erano 14 vigili in servizio allo stadio, quell’auto non era lì per diletto”.

Versioni contrastanti sui primi soccorsi. Il primo a lanciarsi in aiuti di Morosini, ancora prima che l’arbitro Baratta fischiasse, è stato il fisioterapista del Pescara, Claudio D’Arcangelo, non appena il centrocampista del Livorno ha compiuto quegli insoliti e convulsi tentativi di rialzarsi. Con D’Arcangelo anche il medico sociale biancazzurro, il dottor Sabatini, che hanno immediatamente iniziato il massaggio cardiaco, e poi il personale della Misericordia a bordo campo. Su queste versioni altri interrogativi, circa l’immediato uso dei defibrillatori e sullo stato di coscienza di Morosini: contrastanti le versioni rilasciate dai diretti testimoni. D’Arcangelo dice di non aver mai visto il giocatore riprendere conoscenza, così come sostenuto da Leonardo Paloscia, primario del reparto di Cardiologia del nosocomio pescarese, che dalle tribune come spettatore si è precipitato in campo per prestare le cure mediche: è lui ad aver proseguito il massaggio cardiaco sull’ambulanza in corsa verso il Santo Spirito, mentre il personale del 118 eseguiva la rianimazione cardiopolmonare, ed aver proseguito per un’ora e mezza in ospedale con l’utilizzo dei più avanzati macchinari, defibrillatori, pacemaker e manovre d’emergenza. Ma per il cardiologo Morosini non ha mai ripreso un secondo conoscenza, mai dato cenno di ripresa fin dall’arresto cardiocircolatorio che lo avrebbe colpito dalla prima caduta. Smentisce, quindi, le voci sul coma farmacologico circolate alla prima ora, così come D’Arcangelo chiarisce di aver detto nel capanello dei soccorsi sul prato che il giovane aveva riaperto gli occhi solo per calmare gli animi disperati. L’amministratore delegato del Pescara Danilo Iannascoli, invece, afferma di aver visto lo sguardo vivo di Morosini al momento del caricamento in ambulanza.

Ancor più determinante potrebbe essere la testimonianza rilasciata ad una radio locale da Marco Di Francesco, infermiere della Misericordia intervenuto con i defibrillatori: il volontario conferma l’applicazione di tutto il protocollo del caso: lo stato di non coscienza di Morosini, in arresto cardiorespiratorio, quindi le manovre per aprigli la bocca e per tenergli la testa in ipertensione, l’intubazione con una cannula fino alla trachea e 30 massaggi cardiaci per poi passare alle scariche elettriche; i defibrillatori, dunque, c’erano, addirittura 2 dice Di Francesco, ma sul campo non sarebbero serviti perche il cuore avrebbe ripreso a battere: l’infermiere professionista ha raccontato alla radio, subito dopo la morte del giovane, che i defibrillatori automatici non danno la scarica qualora rilevano il battito cardiaco, quindi Morosini sarebbe rinvenuto, addirittura avrebbe risputato la cannula. Anche lui, come tutti, concordi sui 4 minuti di ritardo: Di Francesco ha raccontato anche che è entrata prima una barella spinta da infermieri e calciatori, ma poi da questa si è dovuto trasferire Morosini su un’altra barella, quella scaricata dall’ambulanza finalmente intervenuta: ogni mezzo, infatti, avrebbe uno specifico modello di lettiga di agganciarsi alle sedi del furgone di soccorso.

La rabbia e lo sconforto dei giocatori in ospedale. A quanto riferito anche da Vito Molfese, paramedico del 118 a bordo dell’ambulanza, i soccorsi dei primi minuti hanno fatto tutto il possibile, ma per Morosini non ci sono stati mai segni di speranza durante il viaggio verso l’ospedale, ininfluente quindi il ritardo dell’ingresso dell’ambulanza. Al Pronto Soccorso, mentre i medici in supporto del professor Paloscia continuavano a lottare per il miracolo, erano arrivate anche le due squadre e un gruppo di tifosi biancazzurri, che in tempo reale hanno creato e srotolato lo striscione “Morosini la Nord è con te”. Momenti di dolorosa speranza, interrotta poco dopo le 17:00 dalle urla furiose dei calciatori, non appena appresa la notizia del decesso: calci alle porte, pianti e grida stridenti hanno scheggiato le porte dell’atrio del Pronto Soccorso, protetto da un cordone di polizia.

La fidanzata: “Sembrava sorridesse”. Ad eseguire l’obbligatoria quanto crudele pratica del riconoscimento della salma è stata la fidanzata di Piermario Morosini, Anna, pallavolista appena ventenne, l’unico pezzo di famiglia rimasta al calciatore scomparso insieme alla sorella disabile, dopo una lunga sequenza di lutti che gli avevano sconvolto la giovane vita. Paola è arrivata all’obitorio di Pescara stamattina alle 9:00, scortata da alcuni amici provenienti da Bergamo e dagli agenti della Digos. Quando è uscita, in lacrime, ha mormorato: “Era bellissimo, sembrava sorridesse”. In mattinata sono arrivati in visita alla salma anche Andrea Abodi, presidente della Lega Serie B, accompagnato dal presidente del Pescara, nonché vice della Lega, Daniele Sebastiani; a sorpresa anche la visita di Demetrio Albertini, vice presidente della Figc.

Domani l’autopsia. Dubbi su un colpo ricevuto. È stata la stessa giovane fidanzata di Morosini a confermare che l’autopsia sul corpo sarà eseguita domani mattina; ad ordinarla è stato il Pm della Procura pescarese Valentina D’Agostino, affidandola all’anatomopatologo di Cristian D’Ovidio. Solo dopo sarà possibile dare il nullaosta per i funerali che si svolgeranno a Bergamo. Anche in questo caso spuntano alcuni dubbi, in particolare sull’eventualità che Morosini possa aver ricevuto colpi durante uno scontro di gioco che, solo in un secondo momento, avrebbero portato alle tragiche conseguenze. Il dottor Paloscia esclude eventuali gomitate o spallate, in quanto una radiografia al torace ha negato traumi come la rottura dell’aorta addominale. Diverso sarebbe nel caso di traumi cerebrali che avrebbero potuto causare aneurismi: impossibile per i macchinari rilevare delle microfratture interne al cranio.

Una vita segnata dal lutto. Il patinato mondo del calcio riflette una vita invidiabile, quella dei calciatori ricchi e fortunati; con Piermario Morosini, invece, la vita non è stata così clemente. A quasi 26 anni la Serie B, limbo temporaneo per il passaggio da giovane promessa a carriera affermata. La trafila delle giovanili nel vivaio dell’Atalanta, nella sua Bergamo, poi il contratto con l’Udinese, nel 2005, cinque presenze in A, una in coppa Uefa, poi tanti prestiti in giro per l’Italia che gli fanno da vetrina. Nel 2006 inizia la Serie B a Bologna, dal 2007 a Vicenza, dove quantità e generosità gli valgono la convocazione in Under 21 per gli europei del 2009. I passaggi a Reggio Calabria, Padova, il ritorno a Vicenza e il rientro a Udine la scorsa estate, con l’ultimo prestito al Livorno per questa stagione, con la prospettiva di rilanciarsi tra le grandi.

Questa la vita sui campi, più felice di quella tra le mura di casa: nel 2001 la scomparsa della madre Camilla, portata via da un male incurabile, nel 2003 l’infarto che stronca il padre Aldo; il quattordicenne Morosini deve fare i conti anche con il suicidio del fratello disabile. A 16 anni rimane quindi solo, con la responsabilità di un’altra sorella disabile, bisognosa di cure continue. A lei, ora, provvederà la Onlus del club friulano, che già ha allestito una raccolta fondi per fornirle tutto il sostegno di cui avrà bisogno.

Il calore dei tifosi. Sono stati i quasi 5mila sulle gradinate dell’Adriatico i primi a chiedere che il calcio si fermasse di fronte alla tragedia di ieri pomeriggio: un appello accolto inevitabilmente dall’arbitro Baratta, che ha sospeso la partita, e dai vertici del calcio italiano che hanno sospeso l’intero week-end di partite, a cominciare da quella tra Milan e Genoa, con le squadre già pronte ad entrare in campo alle 18:00; San Siro ha salutato la triste notizia con un tenero abbraccio, mentre anche in Spagna l’eco del dolore è stata accolta a braccia aperte: il Santiago Bernabeu del Real Madrid ha osservato un minuto di silenzio, mentre Messi e gli altri giocatori del Barcellona hanno giocato con il lutto al braccio.

Sempre loro, i tifosi del Pescara, sono stati i primi ad accorre al Pronto Soccorso per stringersi attorno a Morosini a modo loro, con uno striscione, per poi confortare i giocatori in lacrime mentre lasciavano l’ospedale quando non c’era più niente da sperare.

L’abbraccio si è allungato fino a Livorno, quando la squadra Amaranto è rientrata a Tirrenia dopo sette ore di viaggio sotto la pioggia, per stringersi in silenzio nell’albergo del ritiro, accolti da un altro applauso e dal primo “Ciao Moro”. Quel saluto è stato replicato questa mattina, ai cancelli dello stadio Armando Picchi, da un gigantesco striscione, coronato da mazzi di fiori e maglie con il numero 25.

E ancora a Pescara, dove un via-vai di supporter biancazzurri attornia l’obitorio: tutti con il vessillo del Delfino, qualcuno ha lasciato anche una sciarpa commemorativa del gemellaggio avvenuto in passato tra le due tifoserie.

 

Daniele Galli