E’ servito l’intervento della Protezione civile per togliere il dragaggio dall’ennesima empasse, quella successiva al sequestro delle operazioni da parte della Procura aquilana e delle analisi sul presunto Ddt contenuti nel fondale da asportare dalla darsena commerciale. Sono passati 5 mesi dall’intervento dell’antimafia e dagli imposti esami svolti dall’Arta e dai contro-esami effettuati dal laboratorio privato Indam, e nemmeno l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale è servito a far avere risultati certi e a dire se è possibile sversare in mare i primi 73mila metri cubi appaltati. Così, ieri a Roma la Protezione civile ha tagliato la testa al toro, e nel dubbio ha garantito l’intervento per far scaricare quei fanghi in una discarica a terra, ma fuori Abruzzo, in modo da agire prima che la stagione balneare blocchi nuovamente tutto e che, aspettando l’autunno, i sedimenti che continuano ad accumularsi con il fiume portino lo scalo pescarese a limiti irrecuperabili.
Se per tanti questa soluzione è sembrata una manna dal cielo, gli operatori portuali continuano a guardare oltre e a chiedere un “vero intervento”. Leonardo Costagliola, conosciuto come il pilota del porto ovvero il titolare della ditta che aveva il compito di seguire e coadiuvare le manovre di entrata ed uscita delle navi dal porto suggerisce di “accantonare le speranze” createsi dopo il vertice al quale hanno partecipato il commissario Guerino Testa, il sindaco Albore Mascia e il comandante della Capitaneria di Porto Luciano Pozzolano. Per Costagliola il lavoro è finito, dato che nessuna imbarcazione commerciale fa tappa più a Pescara; né riprenderanno a farlo se non arriverà una soluzione globale per l’intero scalo. “Il progetto dei 73mila metri cubi ormai deve essere accantonato”, dice, “la copertura finanziaria e la discarica forse arriveranno ma i rilievi batimetrici sono talmente cambiati che un asportazione di materiale di quelle dimensioni non serve ormai a nulla”. Seppure i ministeri reperiranno i fondi e la Protezione civile individuerà un luogo per lo smaltimento, per la guida del porto di Pescara a poco servirà dragare provvisoriamente soltanto la darsena commerciale, come previsto in fase precedente: “Le navi non potranno rientrare nel porto, forse ci riuscirà solo qualche peschereccio”, insiste. Ma dal momento che è stata abbandonata l’ipotesi della ‘discarica’ marina, Costagliola suggerisce: “Dato che si è deciso di portare tutto in discarica bisogna fare un progetto intero che parte dalla darsena commerciale e arriva fino al cavalcavia del Comune, calcolare i metri cubi da prelevare in modo da avere un solo progetto ed una sola approvazione”. Dragare una sola volta ma farlo bene, insomma, “in modo che il lavoro, assicurata la copertura finanziaria, non venga più interrotto”.
L’Arta: nessuna analisi bocciata. “L’eventuale scelta di conferire i sedimenti marini in discarica ancor prima che il Ministero revochi il provvedimento di autorizzazione per l’immersione a mare è palesemente una scelta politico-istituzionale spinta dalla necessità di tagliare la testa al toro e non certo dettata da ragioni tecniche, i risultati delle analisi, che restano invece tuttora da definire”. Il chiarimento del direttore generale dell’Arta Mario Amicone sgombra il campo da ogni ipotesi di bocciatura delle analisi effettuate, come potrebbe sembrare dalle decisioni di ieri. “E’ vero invece che gli interrogativi sulla concentrazione di Ddt nei sedimenti portuali non hanno ancora avuto risposte chiare, esaurienti e definitive da parte di Ispra”, prosegue Amicone, “ma dal momento che gli stessi sedimenti sono ancora nella darsena da parte nostra, come già in passato, c’è la disponibilità a ripetere le analisi, unitamente a tutte le Arpa d’Italia se dovesse essere necessario”. Finito nella querelle nata tra l’Arta, l’Ispra e il laboratorio privato incaricato, Amicone continua a difendere i propri tecnici e i propri laboratori, incaricati di testare le possibilità di scaricare al largo quanto prelevato dalla darsena; se i primi risultati erano favorevoli, si è aggiunto un parere analitico commissionato da Ispra all’Istituto Superiore di Sanità solo al fine di migliorare il livello di confidenza sul reale livello di contaminazione da Ddt dei campioni di sedimenti del porto di Pescara”, spiega Amicone, “che ha finito per generare ulteriore confusione in quanto le analisi, sollecitate dalla Direzione stessa dell’Arta sin dal 12 dicembre 2011 come revisione delle precedenti, non sono state condotte in contraddittorio tra le parti: condizione, questa, che avrebbe fornito un risultato valido definitivo propedeutico alla immediata ripresa dei lavori di dragaggio”. Il coinvolgimento di vari laboratori in corso d’opera avrebbe solo peggiorato la situazione, quindi: “Gli esiti analitici forniti dall’Iss determinerebbero addirittura la classificazione surreale del porto di Pescara come sito contaminato da Ddt, con le immaginabili conseguenze catastrofiche per la già difficile situazione degli operatori economici locali. Da una ricognizione dei dati analitici storici riferiti al fiume Pescara e ai porti abruzzesi, compreso quello di Pescara, e passando in rassegna anche le analisi eseguite da altre Arpa nei porti italiani, ci risulta che non sia mai stata riscontrata una concentrazione di Ddt a livelli così elevati”, svela Amicone, “Per assurdo, il porto di Pescara risulterebbe perfino più contaminato del porto di Marghera e del lago Maggiore, dove per anni ha sversato i propri scarichi un’azienda che produceva proprio Ddt”. Quindi, ancora una volta Amicone difende i risultati della sua Arta, che non riportavano Ddt nel fondale della darsena commerciale: “Nella vasca di colmata, dove stati sversati per anni i sedimenti del porto, l’Ispra non ha rilevato alcuna presenza di Ddt, come attestano le relazioni tecniche ufficiali e pubbliche risalenti all’aprile 2009. Quindi appare decisamente inverosimile che, a distanza di tre anni, il Ddt sia presente nei sedimenti del porto e oltretutto a concentrazioni sempre più elevate: questa sostanza tossica è fuori commercio dagli anni ’70 ed è scientificamente provato che nel tempo si degrada progressivamente, non certo aumenta”.
Daniele Galli