Hotel Rigopiano, legale delle vittime: ‘Rischio prescrizione in agguato’

Rigopiano.”È una situazione pericolosa, perché esiste il rischio concreto che un processo di questa portata e di questa complessità duri molto, con la prescrizione che per questi reati è però in agguato, dopo appena 5 anni più altri 2 anni e mezzo”.

Così l’avvocato Romolo Reboa, che insieme ai legali Maurizio Sangermano e Gabriele Germano, assiste Giampaolo Matrone, superstite del disastro dell’Hotel Rigopiano, e i familiari di Valentina Cicioni, Marco Tanda e Jessica Tinari, tre delle 29 vittime della tragedia avvenuta il 18 gennaio scorso a Farindola, quando una valanga travolse la struttura alberghiera.

“Sono stato a Pescara per guardare negli occhi i magistrati della Procura e mi sono trovato davanti due persone molto capaci, quali il procuratore aggiunto Cristina Tedeschini e il pm Andrea Papalia, con i quali ho instaurato un ottimo rapporto e nei quali nutro grande fiducia – ha proseguito Reboa – l’ incontro mi ha lasciato molto soddisfatto e l’intenzione di tutti è che il processo non si disperda in mille rivoli e in mille rinvii.

Purtroppo la competenza per questi reati è del tribunale monocratico e con tante parti civili e i vari reati aggiuntivi che potrebbero essere ipotizzati, la situazione diventa davvero pericolosa – rimarca l’avvocato – per questo dovremo essere veloci e capire che anche una parola in più potrebbe essere sbagliata, in quanto esigerà una risposta in più”. Il legale auspica una qualche forma di collaborazione tra i difensori delle vittime.

“Sarebbe il caso di coordinarci, io lavoro con tre colleghi e noi siamo pronti ad associarci con gli avvocati che prenderanno parte a questo processo – fa sapere Reboa – anche per eventuali azioni di altro tipo, come richieste di provvedimenti straordinari nei confronti della Provincia o del Parlamento, per risarcire le famiglie delle povere vittime”.

La conversazione tra Lupi e il direttore dell’hotel è scandalosa ed è la prova di come non abbia funzionato il servizio d’emergenza. Inoltre, da cittadino, mi chiedo: come è possibile che Lupi sia ancora al suo posto?”. Lo ha aggiunto l’avvocato riferendosi alla telefonata intercorsa tra il dirigente del 118 Vincenzo Lupi, dal Centro di coordinamento della prefettura di Pescara, con il direttore dell’hotel Bruno Di Tommaso, che non si trovava a Rigopiano: la valanga aveva già travolto la struttura, ma le parole di Di Tommaso finirono per ritardare l’invio dei soccorsi. “Forse se qualcuno non avesse giocato a ‘mi manda Picone’ – ha aggiunto Reboa – e avesse svolto seriamente il suo compito, i soccorsi sarebbero potuti partire prima, ma questo non lo so e spetta alla Procura accertarlo”.

“Dai video e dalle fotografie allucinanti che ho visto, e dalle testimonianze che ho raccolto, ho maturato delle certezze: la Provincia e il sistema della Protezione civile sono responsabili”. Ribadisce Reboa, commentando la vicenda drammatica dell’hotel rimasto bloccato dalla neve.

“Mi aspettavo già qualche tipo di provvedimento amministrativo o qualche indagine interna, per dare subito qualche segnale di giustizia, e invece sembra si voglia far passare che quello che è successo è un fatto inevitabile – accusa l’avvocato-. Invece non è così, perché la Provincia era obbligata dalla legge a tenere aperta la strada e la Protezione Civile non è il Pronto soccorso e aveva il compito di intervenire prima. Quelle persone sono state fatte prigioniere – sottolinea l’avvocato – e sono diventate prigioniere anche perché sono state fatte salire”.

Secondo il legale, “conta poco che le persone siano morte sul colpo o meno, perché quelle persone non dovevano essere rese prigioniere. Io ho degli sms mandati da persone che due minuti prima della valanga erano vive – racconta Reboa – e che fino alla fine continuavano a dire di volere andare via”. Infine l’avvocato mette sotto accusa l’intero sistema. “Qui siamo in presenza di un macrosistema, che è quello della Protezione civile, che nel suo complesso non ha funzionato – conclude Reboa -. Ora toccherà a tutti noi, nel processo, andare ad individuare le varie responsabilità”.

“Ho fatto tutto quello che potevo fare”. Ha detto invece il presidente della Provincia di Pescara, Antonio Di Marco, ascoltato oggi dai carabinieri forestale, su delega della Procura del capoluogo, in relazione alla tragedia di Rigopiano.

Il presidente, ascoltato per circa un’ora e mezza a sommarie informazioni, ha inteso chiarire la sua posizione, ribadendo quanto già sostenuto in altre occasioni. Chi lo ha ascoltato ha voluto capire di cosa fosse a conoscenza per ciò che era avvenuto il 18 gennaio, giorno della sciagura quando una valanga si e’ abbattuta sul resort provocando la morte di 29 persone. Di Marco avrebbe spiegato, tra le altre cose, il funzionamento del Piano neve dell’Ente, ricostruendo la filiera di operatori e amministratori addetti agli interventi di emergenza. Ha quindi voluto chiarire la sua posizione istituzionale sostenendo, tra l’altro, che il giorno della valanga non fosse a conoscenza che una turbina della Provincia si trovasse in riparazione in officina, circostanza anche questa, che lo stesso presidente aveva già reso nota.

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