Pescara. Presentato, questa mattina presso la Questura di Pescara, il protocollo d’intesa per l’identificazione e la tutela delle vittime della tratta degli immigrati e del grave sfruttamento sessuale e lavorativo. Così come per i collaboratori di giustizia, le lucciole “pentite” saranno messe sotto la tutela delle forze dell’ordine e di associazioni per i servizi sociali per abbandonare il mondo che le sfrutta e integrarsi nella società civile.
È stato il Procuratore Capo di Pescara, Nicola Trifuoggi, ideatore del protocollo, ad illustrare questa mattina, insieme al Procuratore Aggiunto Cristina Tedeschini, al Sostituto Procuratore della Direzione distrettuale antimafia della Procura de L’Aquila, David Mancini, al Questore di Pescara Paolo Passamonti e al Presidente dell’associazione umanitaria ‘On the road’ Vincenzo Castelli, le linee guida ad una platea composta di vertici delle forze dell’ordini operanti sul territorio, ai dirigenti di Asl e delle Direzione provinciale del Lavoro e dei settori sociali.
Un protocollo, che si attiverà a breve, dopo la necessaria formazione dei soggetti coinvolti, basato sull’articolo 18 del Testo unico sull’immigrazione e che mira da un lato ad attuare una più energica azione di contrasto alle attività criminali connesse ai fenomeni di sfruttamento, sia sessuale che lavorativo, degli esseri umani, dall’altro a fornire una più efficace tutela alla vittime del reato attraverso la piena operatività degli strumenti legislativi a disposizione a livello nazionale ed europeo. Parola chiave ‘sinergia’, quella tra le forze dell’ordine e gli operatori sociali, ma ancor prima con le stesse vittime dello sfruttamento, prostitute in primis. Previsto, infatti, un vero e proprio programma di protezione delle ‘lucciole’ disposte a collaborare con la giustizia per far emergere chi le sfrutta e le utilizza come merce di scambio di tratte disumane; grazie alle prostitute “pentite”, le forze dell’ordine sono in grado di identificare chi sono i “mercanti del sesso”, e di risalire alle reti dello sfruttamento e del favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Di contro, come viene fatto per i “pentiti”, le “collaboratrici” vengono sottratte al marciapiede e a chi le sfrutta, protette dal rischio di ritorsione all’interno di strutture e case di accoglienza, e in ultimo sottoposte a corsi di alfabetizzazione e formazione per l’inserimento e l’integrazione nella società italiana. Lo stesso vale per gli uomini sfruttati dal caporalato nei cantieri o nei lavori più duri. Infine, chi completa il percorso di formazione giungendo ad un incarico lavorativo, potrà ottenere un permesso di soggiorno lavorativo che genera, conseguentemente, il riavvicinamento dei familiari rimasti in patria d’origine.
Per rendere applicabile il protocollo nel più breve tempo possibile, già alla presentazione di stamane è seguita la prima seduta di formazione, che ha visto gli interventi del Procuratore Aggiunto di Pescara e del Dirigente l’Ufficio Immigrazione, Dott.ssa Marina Parisio, che hanno illustrato gli strumenti legislativi previsti, della Dottoressa Anna Bonifazi, in tema di tecniche e modalità di approccio alla vittima durante i primi contatti, e del dottor Gianfranco Albanese, sulle metodologie di identificazione delle potenziali vittime della tratta.
A rappresentare le associazioni coinvolte nella tutela delle vittime delle ‘tratte’, il dottor Vincenzo Castelli, presidente dell’associazione ‘On the road’, che da oltre vent’anni opera sulla costa adriatica riuscendo a restituire la dignità sociale a circa 150 vittime all’anno. Un’azione ardua,che utilizza l’articolo 18 come prima arma, “ma la situazione è divenuta complessa con l’entrata di alcuni paesi dell’Est nella Comunità europea”, ha spiegato Castelli, “per i quali non vale più questo strumento legislativo”. L’esperienza di Castelli è stata utile per tratteggiare il fenomeno nei suoi dettagli: se fino alla fine degli anni ’90 le prostitute erano maggiormente di origine nigeriana, con i successivi flussi immigratori è divenuta massiccia la presenza rumena e albanese, sia per quanto riguarda le donne sfruttate, che per chi detiene il traffico, mentre le mafie russa e turca si spartiscono lo sfruttamento lavorativo. Alla malavita italiana spetta l’organizzazione logistica locale, come la sistemazione delle prostitute in appartamenti, “dove il fenomeno diventa invisibile”, precisa Castelli. Agghiacciante il dato riguardante lo sfruttamento minorile: una ragazza sfruttata su 10 e minorenne.
“È indispensabile far comprendere alle vittime in primis che la loro collaborazione è importante per smantellare le organizzazioni che le rendono oggetto di tratte”, ha commentato Trifuoggi, “ma tutto il contenuto del protocollo costituisce una materia specialistica che necessità della collaborazione di magistratura, forze dell’ordine e servizi sociali e sanitari: ognuno dovrà fare la propria parte per eliminare questo grave problema”. “Ma sull’approccio sociale non siamo preparati”, ha aggiunto il questore Passamonti, “sappiamo condurre la fase investigativa e di polizia giudiziaria, ma è importante soprattutto l’approccio intrapreso con questa nuova formazione”.
Daniele Galli