A denunciare l’episodio sono stati proprio i vertici dell’ateneo pescarese, il rettore Franco Cuccurullo e il direttore generale Marco Napoleone, che hanno presentato un esposto alla Procura della Repubblica di Chieti. “L’imprenditore” si legge nell’esposto “si è presentato dieci giorni fa all’università e davanti a noi ha raccontato di aver pagato 92 mila euro di soldi in nero per la sperimentazione di un farmaco. Un racconto dettagliato dove ha precisato anche i nomi delle persone ha cui avrebbe versato i soldi in contanti”. I tre ricercatori, come racconta ancora Caporale, avrebbero ricevuto rispettivamente tangenti da 50, 25 e 17 mila euro, a seconda del ruolo rivestito all’interno dell’istituto.
Tuttavia, le tangenti non sono servite a molto, visto che il farmaco sarebbe stato bocciato dall’Aifa, l’agenzia italiana per il farmaco. “L’imprenditore” a quel punto “ha preteso la restituzione del denaro, che poco dopo avrebbe ricevuto indietro solo in parte. A me e al rettore ha chiesto un risarcimento di 150 mila euro per il danno arrecatogli. Davanti alle obiezioni da parte del rettore, l’imprenditore avrebbe risposto che quello delle tangenti era a suo avviso un sistema dentro l’università e dentro la fondazione dell’ateneo. A quel punto ho inviato l’imprenditore a denunciare il fatto alla Procura, ma la sua risposta è stata che con la denuncia non avrebbe certo ottenuto i fondi. La sensazione è stata come se volesse da noi i soldi persi”.
L’uomo, comunque, non è nuovo a fatti di questo genere. Nel 2008, ricorda ancora La Repubblica, è stato coinvolto in una vicenda di sesso e soldi in cambio di ricette false. In cambio dell’aiuto, a medici e farmacisti andava un compenso dal 5 al 10% del prezzo del farmaco oppure le prestazioni di una prostituta. Una decina le ragazze italiane e colombiane coinvolte che incontravano i clienti in tre alberghi, tra L’Aquila, a Cagliari e a Napoli.