Pescara. Riparte il processo per la morte di Piermario Morosini, calciatore del Livorno stroncato da un malore sul campo dell’Adriatico il 14 aprile 2012, durante la partita di Serie B tra gli amaranto e il Pescara di Zeman. Nel mirino dell’accuso il mancato uso del defibrillatore da parte dello staff medico intervenuto in soccorso del giovane.
“Quando sono arrivato in campo c’erano già il medico del Pescara Sabatini e quello del Livorno Porcellini, il defibrillatore era aperto all’altezza della testa di Morosini, ma non so se era acceso, e io ho segnalato per due volte che c’era il defibrillatore, ma nessuno lo ha utilizzato e nessuno mi ha detto di utilizzarlo”: questo uno dei passaggi chiave della testimonianza resa stamani, nel corso dell’udienza davanti al Tribunale monocratico di Pescara, presieduto dal giudice Laura D’Arcangelo, dall’infermiere del 118 Marco Di Francesco.
Nella vicenda sono imputati il medico sociale del Livorno Manlio Porcellini, il medico del Pescara Ernesto Sabatini, e il medico del 118 in servizio quel giorno allo stadio, Vito Molfese. I tre sono accusati di omicidio colposo.
Di Francesco, che quel giorno era in servizio come volontario della Misericordia, e’ uno dei sette testimoni citati oggi dal pm Gennaro Varone. “Normalmente chi arriva prima guida le operazioni – ha aggiunto Di Francesco -. Non so chi arrivo’ prima quel giorno, ma Porcellini stava eseguendo un massaggio su Morosini, dunque è probabile che sia arrivato lui per primo e che fosse lui il leader in quel momento. Molfese ha soltanto guardato e non ha fatto niente – ha detto l’infermiere -. C’era una grande confusione e nessuno dava disposizioni”.
Sul banco dei testimoni poi e’ salito anche Andrea Silvestre, volontario della Croce Rossa che quel giorno si trovava a bordo campo. “Quando entrai in campo con la barella, mi accorsi subito che il giocatore non stava bene – ha detto Silvestre -. Per precauzione andai a prendere il defibrillatore e lo aprii vicino alla testa del giocatore, senza accenderlo”. Rispondendo ad una specifica domanda del pm, Silvestre ha detto: “Non ho sentito nessuno dire di utilizzare il defibrillatore”. Fatti confermati anche da due volontarie della Croce Rossa e da un altro infermiere del 118.
“Le procedure seguite sul campo da gioco per soccorrere Morosini hanno evidenziato una condotta attiva volta a salvare la vita del giocatore, ma sono risultate non conformi alle linee guida internazionali con riferimento al mancato utilizzo del defibrillatore, che in questi casi e’ indispensabile e alle modalita’ di rianimazione polmonare, apparse non sufficientemente corrette”. Ha chiarito, invece, il perito della Procura, il medico legale Cristian D’Ovidio, che è stato coadiuvato nella perizia da Giulia D’Amato, esperta in cardiologia e genetica dell’Universita’ La Sapienza di Roma, Simona Martello , esperta in tossicologia dell’Universita’ di Tor Vergata, e Raffaele Del Caterino, ordinario di Cardiologia all’Universita’ d’Annunzio di Chieti-Pescara.
Relativamente alle operazioni di soccorso, esaminate anche attraverso la visione dei filmati, D’Ovidio ha evidenziato che il primo ad arrivare, dopo 12 secondi dal momento in cui Morosini si accasciò a terra, fu il medico del Livorno Manlio Porcellini, raggiunto pochi attimi dopo dal medico del Pescara Ernesto Sabatini. “Le operazioni iniziali sono apparse corrette – ha detto D’Ovidio -. Poi, pero’, e’ stato portato in campo il defibrillatore, che non e’ stato utilizzato ne’ sul terreno di gioco e ne’ sull’autoambulanza, nonostante sul mezzo ce ne fossero due perfettamente funzionanti”.
Anche Giulia D’Amato ha parlato del mancato utilizzo del defibrillatore: “Un soggetto giovane come Morosini, con un circolo arterioso molto valido, specie con riferimento al circuito cerebrale, puo’ riprendersi immediatamente con il defibrillatore”. D’Ovidio ha poi parlato della questione legata alle responsabilita’ di chi avrebbe dovuto intervenire e assumere il controllo delle operazioni, chiamando in causa il medico del 118 Vito Molfese. “Molfese si trovava a 70 metri dal punto in cui il giocatore era disteso e – ha sostenuto – sarebbe potuto intervenire prima, senza attendere che venisse spostato il mezzo che ostruiva l’accesso dell’ambulanza. Una volta giunto sul posto ha compiuto solo una fugace palpazione del polso, senza mettere in atto altri interventi diagnostici o terapeutici”. Secondo D’Ovidio, “era il medico del 118 la persona piu’ qualificata ed esperta, che avrebbe dovuto effettuare la rianimazione di un paziente in arresto cardiaco”. Una conclusione contestata non solo dalla difesa di Molfese, ma anche dal professor Del Caterino. “Sull’unicita’ delle responsabilita’ – ha detto – non mi trovo d’accordo”.
D’Ovidio è anche il medico che ha effettuato l’autopsia sul corpo di Piermario Morosini:”Una lesione cicatriziale al ventricolo sinistro e’ alla base dell’insorgere, sotto lo sforzo fisico, della fibrillazione ventricolare poi evoluta verso la morte – ha aggiunto illustrando le cause del decesso -. La lesione e’ attribuibile, in prima ipotesi, ad una cardiopatia aritmogena”.
Il Tribunale che punta a concludere la fase istruttoria entro l’estate, ha anche fissato il calendario delle prossime udienze: si torna in aula il 18, 19, 20 e 22 luglio.