Pescara. L’ex direttore dell’ufficio provinciale del lavoro di Pescara, Giampaolo Paoletti, è stato condannato dal Tribunale collegiale del capoluogo adriatico alla pena di 8 anni di reclusione e al pagamento di una multa pari a un milione e 425 mila euro per aver consentito o comunque favorito l’immigrazione clandestina.
Altri due imputati, Domenico Faricelli, funzionario dell’ufficio provinciale del lavoro di Pescara, e Giacomo Blandini, operatore di sportello, sono stati invece assolti dallo stesso reato per non aver commesso il fatto. La vicenda, che conta in totale 24 imputati (sei italiani e 18 cinesi), e’ quella riguardante l’operazione “Piramide”, che il febbraio del 2006 porto’ alla luce una organizzazione accusata di gestire illegalmente permessi per immigrati dall’Est europeo e dalla Cina. Le accuse contestate, a vario titolo, vanno dall’associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, alla corruzione, al falso sino all’abuso d’ufficio. Gli altri reati a carico di Paoletti, Faricelli e Blandini sono stati alcuni derubricati e dichiarati prescritti e altri prescritti.
Il Tribunale, inoltre, ha derubricato e prescritto anche alcuni reati a carico di tre cittadini italiani, titolari di societa’, e 15 imputati cinesi. Altri reati a loro carico sono stati dichiarati prescritti. Per aver consentito o comunque favorito l’immigrazione clandestina, i giudici hanno condannato un imputato cinese a otto anni di reclusione e 12 cinesi a 5 anni di reclusione. Undici imputati cinesi sono stati condannati anche al pagamento di una multa pari a un milione e 425 mila euro ciascuno, altri due invece al pagamento di 105 mila euro ciascuno. Sempre per lo stesso reato, un cittadino cinese e’ stato condannato a 4 anni di reclusione e al pagamento di una multa di 15 mila euro.
Nell’ambito dell’inchiesta furono poste sotto sequestro 13 attivita’ gestite da orientali, molte delle quali ritenute dagli investigatori fittizie, tra cui un ristorante cinese di Montesilvano. Secondo l’accusa, sarebbero stati almeno 150 i cinesi e 50 i rumeni immessi illegalmente e spostati su tutto il territorio nazionale con profitti ingenti. Sempre secondo l’accusa, chi si rivolgeva all’organizzazione riusciva a ottenere, a seconda del prezzo pagato, il rilascio di false autorizzazioni al lavoro (e dunque i permessi di soggiorno), ma anche i ricongiungimenti familiari, un meccanismo per aggirare le cosiddette quote d’ingresso. Le tariffe richieste ai cinesi clandestini partivano da un minimo di 7 mila euro, per un singolo rinnovo di permesso di soggiorno, a 18 mila per le richieste di ricongiungimento familiare di tre persone (24 mila se le persone erano quattro)