Gli studenti italiani che studiano all’estero hanno sempre diritto a trasferirsi su posti delle facoltà a numero chiuso lasciati liberi dagli stranieri.
Sembra un paradosso, ma in realtà è un importante principio giuridico stabilito dalla giurisprudenza amministrativa e applicato dal Tar dell’Aquila al caso di uno studente abruzzese che chiedeva di transitare dal Corso di Odontoiatria di “Nostra Signora del Buon Consiglio” di Tirana a quello dell’ateneo aquilano.
Una prima ordinanza dell’aprile scorso aveva accolto il ricorso presentato dall’avvocato Salvatore Braghini, contro un primo diniego frapposto dall’Università del capoluogo.
Secondo Univaq, infatti, lo studente non poteva essere iscritto, non essendovi posto disponibile da ricoprire, al IV anno accademico. Non dello stesso avviso erano i Giudici della prima sezione del Tar, secondo i quali la richiesta del ricorrente doveva essere esaminata e, all’esito della convalida degli esami sostenuti nell’ateneo di Tirana, quest’ultimo doveva essere immatricolato anche in altro anno accademico.
Nonostante tale dispositivo del Tar nell’aprile scorso, lo studente riceveva un secondo stop. Infatti, la Commissione pratiche studenti dell’ateneo aquilano, pur convalidando un congruo numero di esami e crediti maturati nell’Ateneo, disponeva l’ammissione dello studente al II anno accademico: anno per il quale, comunicava il direttore generale, non vi era ugualmente posto, rigettando nuovamente l’istanza dello studente.
Arriviamo quindi ai nostri giorni, in cui l’avvocato dello studente proponeva un nuovo ricorso al fine di richiedere ancora il trasferimento di sede invocando le previsioni del Regolamento Didattico, che prevedono anche l’iscrizione come “ripetente” nonché rivendicando il diritto di occupare uno dei posti non assegnati agli studenti stranieri.
Anche tale ricorso veniva accolto dal collegio giudicante, composto dal dr. Umberto Realfonzo (Presidente), la dr.ssa Paola Anna Gemma Di Cesare (Consigliere) e il dr. Mario Gabriele Perpetuini (Primo Referendario, Estensore), sul presupposto che “per iscrizione ad anno successivo al primo deve intendersi anche l’iscrizione come ‘ripetente’ o, ove possibile (cioè nel caso in cui non vi siano frequenze obbligatorie residue), come fuori corso”, rilevando, altresì, che l’Università e il Ministero intimati hanno “l’obbligo di immatricolare il ricorrente anche mediante l’utilizzo dei posti riservati agli studenti extracomunitari, eventualmente rimasti privi di copertura a seguito delle operazioni di immatricolazione e scorrimento”.
Questa volta, il Tar ha perfino condannato l’Università a 1.500 Euro di spese legali (oltre accessori).
Piena soddisfazione esprime l’avvocato Salvatore Braghini, che ha seguito diversi ricorsi analoghi, positivamente risolti dal Tar dell’Aquila e dal Tar di Pescara: “La giustizia amministrativa grazie alla sua efficienza riesce a garantire decisioni celeri e penetranti riconoscendo, in questo come in altri casi, il sacrosanto diritto degli studenti italiani a tornare nel loro Paese per proseguire gli studi in applicazione di un principio comunitario, sancito in diverse direttive, che favorisce la mobilità tra le università straniere e la realizzazione del diritto allo studio senza barriere e preclusioni”.