Le Sorelle Clarisse, guidate dalla badessa Madre Rosa Maria Tufano, che solitamente trasmettono quella serenità francescana che fa meditare sul valore dello spirito rispetto alla caducità delle cose terrene, sabato scorso 9 marzo avevano nel sorriso un quid in più, di gioia davvero intensa, propria di un ritorno a casa, benché il monastero sia assai vicino alla provvisoria struttura di legno che le ha ospitate negli anni del dopo terremoto. Nella piccola Chiesa di San Bartolomeo, ove sono custodite le spoglie incorrotte della Beata Antonia di Firenze, già piena come un uovo mezz’ora prima della celebrazione eucaristica fissata per le quattro del pomeriggio, le Sorelle rispondevano con un cenno festoso a chi, oltre l’inferriata posta tra il presbiterio e la parte riservata ai fedeli, inviava loro un sorriso o un gesto di saluto.
Anche l’esterno della chiesetta, dov’erano sistemate altre panche a sedere, c’era un pieno di gente in attesa, con quell’animazione tipica dei grandi eventi. La grande Chiesa di Santa Maria del Carmine, consacrata nel 1912 e adiacente al monastero, ha bisogno ancora di alcuni mesi per il completamento dei lavori di consolidamento e restauro. Dunque ancora la chiesetta di San Bartolomeo ospita questa importante celebrazione. Splendidamente restaurata dal Ministero dei Beni Culturali, con lavori condotti dalla Soprintendenza e diretti da Bianca Maria Colasacco, la chiesa, una monoaula con tetto ligneo a vista e lacerti di due preziosi affreschi – un’Annunciazione e una Crocifissione – risalenti al XIII secolo, è stata arricchita sulle pareti laterali dalle opere del maestro iconografo Paolo Orlando, che vi ha realizzato due cicli di affreschi, uno mariano e l’altro sulla vita di Gesù. Probabile che questo tempio fosse la parrocchiale di una delle numerose Ville che dopo l’anno Mille concorsero all’incastellamento di Paganica, ampliando l’antico nucleo del pagus sorto negli anni della Roma repubblicana, intorno al 430 a.C., proprio al confine tra i popoli Vestini e Sabini.
Alle ore 16 in punto il lungo corteo dei celebranti fa ingresso nella chiesa, aperto da una ventina di sacerdoti, secolari e francescani, seguito da tre vescovi – il Nunzio apostolico mons. Orlando Antonini, il vescovo di Termoli-Larino mons. Gianfranco De Luca e il vescovo di Rieti mons. Domenico Pompili – e chiuso dall’arcivescovo metropolita dell’Aquila, Cardinale Giuseppe Petrocchi. Tra i presbiteri il parroco di Paganica, don Dionisio Rodriguez, e due ospiti – don Alessandro Blandino, modicano e parroco a Pachino, e don Sergio Boccadifuoco, parroco a Frigintini di Modica – della diocesi di Noto, fortemente legata a Paganica, in amicizia e spiritualità, dopo il sisma del 2009. Tanto che la Parrocchia di Paganica ha contratto un gemellaggio religioso con la Parrocchia di San Pietro, a Modica, laddove era parroco don Corrado Lorefice, ora arcivescovo di Palermo.
Grande raccoglimento durante la celebrazione eucaristica e forte emozione durante l’omelia dell’arcivescovo Cardinale Petrocchi, che nel recupero del monastero vede il segno della speranza e della rinascita. E dopo aver commentato il Vangelo della prima domenica di quaresima, che racconta le tentazioni del demonio su Gesù in digiuno nel deserto, il porporato ha richiamato il valore della contemplazione e della preghiera delle Clarisse. “Il monastero, laboriosa dimora – ha detto il Cardinale Petrocchi –, ha le finestre aperte sul mondo e spesso, pur recluse, le monache Clarisse attraverso la preghiera arrivano dove noi non riusciamo ad arrivare”. Con una illuminante metafora l’arcivescovo ha detto che un monastero ha un influsso benefico anche sulla società civile: infatti, come i pannelli solari convertono l’energia del sole in energia elettrica, così in un monastero la contemplazione converte la vita divina ricevuta e assimilata in energie di comunione da immettere nelle relazioni sociali, a vantaggio di tutti. Sicché l’opera delle sorelle Clarisse è energia spirituale che s’irradia in questo territorio, nella diocesi, nel mondo intero, ha detto infine l’arcivescovo concludendo la sua omelia.
Alla fine della celebrazione, animata egregiamente dal Coro diocesano giovanile “San Massimo” diretto da Davide Castellano, il Cardinale Petrocchi ha ricordato le vittime del terremoto e, parlando della ricostruzione, ha fatto appello a sollecite procedure per consentire ai cittadini il rientro nelle loro case e la ripresa completa delle attività nella città capoluogo e nei centri del cratere sismico. Ma soprattutto, riprendendo un tema che gli è caro, ha parlato dei sismi dell’anima e della ricostruzione morale della comunità aquilana, colpita dalle conseguenze morali del terremoto che, pur non appariscenti, sono più gravi e durature dei danni materiali. Verso questi drammi intimi e sociali deve andare l’attenzione e la cura delle istituzioni, non meno che verso la ricostruzione di case, chiese, scuole, uffici e impianti produttivi.
La badessa, Madre Rosa Maria, ringraziando le innumerevoli persone che hanno dato il loro aiuto, ha ricordato Madre Maria Gemma Antonucci. Quantunque deceduta sotto le macerie del terremoto nella notte del 6 aprile 2009, lei è stata la vera pietra angolare che ha sorretto il monastero negli anni difficili del post sisma. Ha poi rivolto un pensiero a Suor Geltrude, morta qualche mese fa alla veneranda età di oltre cento anni, anch’ella con Madre Gemma ora partecipi in Cielo della gioia di questo evento. Quindi il corteo processionale, preceduto dalle Clarisse e seguito dai celebranti tutti, dalla chiesetta si è diretto verso l’ingresso del restaurato Monastero per la benedizione inaugurale, che l’arcivescovo dell’Aquila ha impartito. In questi primi locali, di vestibolo e parlatorio, si è potuto ammirare un saggio del restauro realizzato all’intera struttura, che ha curato a meraviglia il recupero dei dettagli costruttivi d’epoca. All’inaugurazione è seguito il concerto “Il Privilegio di Chiara”, oratorio sacro per voci femminili e quartetto d’archi dell’Ensemble Fideles et Amati, con testo e musica di Marcello Bronzetti.
Ma ora torniamo ai giorni, mesi e anni difficili del dopo terremoto. In quella terribile notte del 6 aprile 2009 il sisma devastò il Monastero delle Clarisse e il centro storico di Paganica, popolosa frazione a 9 chilometri dalla città capoluogo d’Abruzzo. Alle 3 e 32 crollò il tetto del monastero, proprio sopra le celle delle Sorelle claustrali. Madre Gemma Antonucci, la badessa, perì sotto le macerie. Ferite gravemente due suore, le altre miracolosamente illese. Continuavano le scosse quel giorno e nei giorni seguenti, con uno sciame inquietante. Le Sorelle, con l’aiuto dei soccorritori e dei Vigili del Fuoco prontamente accorsi, messa in salvo l’urna con il corpo incorrotto della Beata Antonia da Firenze, che era custodita nella Chiesa del Carmine, raccolte le poche cose recuperabili, partirono per Pollenza, in provincia di Macerata, per essere temporaneamente ospitate nel locale monastero delle Clarisse. Lì la Beata Antonia fu per 7 anni custodita in sicurezza. Intanto, a qualche giorno dal sisma, lo slancio di solidarietà promosso da Tele Pace avviò la generosa raccolta di fondi che permise, entro la chiusa murata del convento, la costruzione d’un piccolo monastero in legno dove le Clarisse, sotto la tenace guida della badessa Madre Rosa Maria Tufaro succeduta a Madre Gemma, fin dal dicembre 2009 vollero fortemente rientrare. Qui hanno dimorato fino ad ora, in spazi assai ristretti.
Il 16 luglio 2016, finalmente, il ritorno da Pollenza della Beata Antonia, la cui urna venne sistemata nella Chiesa di San Bartolomeo, in attesa della riapertura della Chiesa del Carmine. L’evento del rientro della Beata Antonia fu di significativa portata storica, sia perché ricomponeva un pezzo di memoria civile e spirituale dell’Aquila dopo il sisma del 2009, sia per la devozione portata dagli Aquilani verso la Beata che, insieme a S. Bernardino da Siena, a S. Giovanni da Capestrano, al Beato Vincenzo dell’Aquila e al Beato Timoteo da Monticchio, forma quella schiera di Santi francescani che hanno tenuto viva nella città e nel territorio aquilano la spiritualità di Francesco e Chiara d’Assisi.. La Beata Antonia ritornò dunque nella sua terra e nella sua casa, il Monastero di S. Chiara a Paganica, dove le Clarisse dal 1997 vivono, quando si trasferirono dall’antico Monastero dell’Eucarestia, nel cuore storico dell’Aquila, per cercare un luogo più silenzioso e adatto alla vita contemplativa, trovato appunto a Paganica nell’ex Convento dei Frati Minori, che da anni era dismesso.