Avezzano, discriminata per genere ed età: risarcimento danni per una docente

L’impossibilità per le dipendenti donne di prolungare il rapporto di lavoro così da totalizzare un maggior ammontare di contributi su cui parametrare la pensione è una discriminazione.

 

Lo ha deciso il Giudice del lavoro del Tribunale di Avezzano, dr. Antonio Stanislao Fiduccia, che ha condannato il Ministero dell’Istruzione a risarcire una docente di scuola primaria dell’Istituto Comprensivo “Vivenza-Giovanni XXIII” per il periodo in cui la sua prestazione non è stata resa possibile dall’amministrazione scolastica che l’aveva forzosamente collocata in pensione.

Una vittoria per le donna, difesa in giudizio dagli avvocati Salvatore Braghini e Renzo Lancia della Cisl scuola, cui a distanza di anni è stato finalmente riconosciuto il suo diritto ad andare in pensione alla stessa età dei colleghi uomini e al ripristino della continuità retributiva e contributiva.

Ma quale il motivo della decisione.

L’insegnante in parola, al 31 dicembre 2011 aveva maturato i requisiti per beneficiare della pensione anticipata di vecchiaia all’epoca vigente (per le donne 61 e per gli uomini 65 anni di età, con almeno quindici anni di contributi per entrambi se in parte maturati prima del 1993), ma non possedeva i requisiti per la pensione di anzianità (quota 96 ovvero 65 anni).

Ne deriva che un lavoratore tra i 61 e i 65 anni alla data del 31.12.2011, con 15 anni di contributi, avrebbe diritto a permanere in servizio fino a 66 anni (rectius: 66 anni e 7 mesi), a questi applicandosi la nuova disciplina pensionistica inttrodotta dalla riforma Fornero. Ma, e questo è il punto nevralgico della vicenda, ciò vale solo per i dipendenti uomini, in quanto, come spiega il Giudice nella sentenza, “differentemente, la lavoratrice, ultrasessantunenne alla data del 31.12.2011, sarebbe costretta al pensionamento al più tardi al compimento di 65 anni, a lei continuandosi ad applicare la previgente disciplina.

Pera tale motivo il Tribunale ha ravvisato, in continuità con la giurisprudenza di merito e della Corte Costituzionale, che la norma transitoria sul collocamento in pensione dei dipendenti pubblici del Decreto legge 201/2011 (riforma Fornero), e la successiva disposizione che fornisce l’interpretazione autentica dei requisiti di accesso al diritto a pensione maturati entro il 31 dicembre 2011 (spartiacque tra il vecchio e il nuovo regime pensionistico), “comporta un’evidente discriminazione dei dipendenti di sesso femminile rispetto a quelli di sesso maschile, nella determinazione del limite ordinamentale per il collocamento d’ufficio in pensione, in contrasto con la Direttiva 2000/78/CE, che ha stabilito un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro”.

Ne consegue che alla lavoratrice – come stabilito dal Giudice in sentenza – va riconosciuto un risarcimento del danno per equivalente per il periodo che l’ha vista  costretta a rimanere a casa rispetto alla data in cui avrebbe effettivamente dovuto essere collocata in quiescenza.

L’avvocato Salvatore Braghini, nell’esprimere insieme al collega Renzo Lancia la propria soddisfazione per il consolidarsi di un tale orientamento favorevole alle lavoratrici da parte della sezione lavoro del Tribunale marsicano, sottolinea che “il Giudice per accogliere il ricorso ha dovuto disapplicare una legge della Repubblica, la famigerata legge Fornero, che, tra le molteplici iniquità ai danni di molti lavoratori, ha determinato anche l’effetto discriminatorio stigmatizzato nella sentenza, fortunatamente rimosso dal Giudice con una motivazione chiara e un dispositivo efficace, volto al totale ripristino dei diritti retributivi e pensionistici della docente”.

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