È quanto fa sapere l’on. Gianni Melilla (Sel) che in una interrogazione a risposta scritta al ministro della Giustizia chiede un intervento d’urgenza. Contini è in carcere dal 2001. Era l’aprile di quell’anno, quando l’uomo voleva aggredire il fratello minore perchè secondo lui maltrattava continuamente la madre. Nel buio della notte alla finestra di casa, a Chieti, dove vivevano madre e figlio, si affacciò la donna anzichè il fratello Giuseppe e l’uomo la colpì con un coltello da cucina uccidendola. Solo quando fu portato in questura seppe di aver ucciso la madre, Pasqualina Bernabei, all’epoca 74enne.
“La norma regolatrice” spiega Melilla “è l’art. 22 L. n. 354 /1975 secondo cui la retribuzione mensile del detenuto lavoratore non deve essere inferiore ai due terzi della retribuzione stabilita per gli altri lavoratori della stessa categoria dal Contratto collettivo nazionale del lavoro vigente al momento dello svolgimento delle prestazioni. Con una delle prime sentenze in Italia del genere è stato disposto anche il pignoramento preventivo dei beni dell’istituto di pena. A vincere la sua battaglia legale, tramite l’avvocato Fabio Cantelmi, è, appunto, Pasquale Contini. La portata della sentenza è storica, perchè sancisce che un lavoratore che svolge la sua attività all’interno di una casa di reclusione ha diritto a vedere salvaguardata la dignità in tutti i suoi molteplici aspetti compreso quello lavorativo in senso stretto come qualsiasi altro lavoratore. Questa sentenza riconosce il pagamento delle prestazioni da parte del ministero della Giustizia e nella fattispecie il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Pasquale Contini oggi vive con una pensione di invalidità di soli 260 euro al mese e a distanza di due anni dalla sentenza il ministero continua a risultare inadempiente. In una nota il signor Contini minaccia uno sciopero della fame se non avrà immediate risposte e chiarimenti circa il mancato pagamento”.