L’Aquila. Lettera aperta al sindaco dell’Aquila, Massimo Cialente, di Monsignor Orlando Antonini, insigne studioso di architettura urbana e Nunzio apostolico a Belgrado, con la quale ritorna sul tema della qualità della ricostruzione della città e in particolare dell’antica Porta Barete, la più importante della cinta muraria.
LETTERA INTEGRALE:
Ill.mo Sig. Sindaco,
da più parti si asserisce che la mia proposta su Porta Barete, già discussa in incontri ufficiali, riportata più volte dalla stampa e condivisa da associazioni culturali e insigni studiosi, non sarebbe stata sostenuta dal Comune nell’assemblea pubblica del 19 u.s. nonostante le ripetute dichiarazioni a favore dell’idea fatte ai media dagli Assessori competenti. Nel senso che in quell’occasione l’amministrazione non avrebbe indicato un progetto di fattibilità, né tracciato il concreto percorso tecnico-amministrativo.
Io avrei inteso piuttosto che, in quella prima assemblea, voi abbiate voluto semplicemente verificare le varie posizioni in campo, rinviando ad altro incontro pubblico gli approfondimenti del caso. Non avendo la possibilità di partecipare personalmente a tale secondo incontro per ragioni di forza maggiore – son già ripartito per Belgrado – mi permetta esporLe alcune osservazioni sulla base delle posizioni emerse da quel dibattito.
È vero che si dette più spazio al fronte di ‘contrarietà’ a prescindere, quando invece il dibattito e il confronto hanno proprio lo scopo di giungere ad una posizione mediata e il più possibile condivisa tra esigenze diverse. Si discusse molto, e giustamente, di interessi legittimi dei privati ma molto meno di altrettanto legittimi interessi pubblici. In secondo luogo, come notato anche in alcuni articoli pubblicati nelle settimane passate, si riscontrò una volta ancora una certa confusione, non saprei quanto involontaria, tra argomenti che tra loro sono distinti ma compatibili: una cosa è l’eliminazione del terrapieno di Via Roma, un’altra la ricostruzione dei caseggiati dell’area a prescindere dal terrapieno e dall’antemurale.
Assieme alle associazioni culturali che si sono espresse a favore della mia proposta, tengo a ribadire che il progetto ha un carattere esclusivamente culturale, non intende favorire o danneggiare chicchessia e rientra in un discorso più generale di riqualificazione dell’intera cinta muraria e della città. Discorso di riqualificazione generale, questo, che gli stessi oppositori del progetto in parola hanno auspicato quando il loro principale interprete, riscuotendo l’approvazione unanime dell’assemblea, dopo aver decisamente bocciato la nostra proposta alla fine, sorprendentemente, ha additato, quali esempi da seguire, città italiane e straniere come Lucca o Avila, con le loro cinte difensive immerse nel verde sia dentro che fuori le Mura: quindi indirettamente, si noti, auspicando la rimozione di tutti gli anonimi moderni caseggiati che invece sfigurano la cinta muraria aquilana!
Come dimostra la ricostruzione in 3D qui riportata, già proiettata nel corso della citata assemblea pubblica, la riapertura dell’antiporta visibile su via Vicentini è compatibile con la ricostruzione del quartiere, contenendo l’idea di una zona più vivibile e più compatibile con le vicine mura, sia a livello estetico sia a livello urbanistico. Prima del terremoto del 2009 l’area in questione era praticamente un ‘budello’, costretto fra le costruzioni addossate l’una all’altra e la barriera visiva del ponte di via Vicentini, con un’unica via di fuga rappresentata dall’arco di Santa Croce. L’antiporta, se riaperta, sarebbe invece un’ulteriore via di sgombero per qualsiasi emergenza e non dà, come paventato, direttamente su detta via Vicentini: usciti infatti dall’arco ogivale, si ha davanti un marciapiede largo 5 metri, il quale, una volta eliminati il cavalcavia e la risega cementizia che sotto di esso nasconde un altro tratto di Mura con persino un brano del secondo torrione, circonderebbe tutto l’antemurale.
Sarebbe una vera balordaggine non profittare dell’occasione di questa quinta ricostruzione post-sismica per rimediare agli errori edilizi, urbanistici ed architettonici del passato e rendere la città e i suoi borghi più belli ed attrattivi. Ciò nel quadro di una strategia che riconvertendo l’economia di base del nostro territorio montano dalla pastorizia/zafferano del passato all’unica risorsa ‘strutturale’ oggi a nostra disposizione – natura-arte-cultura – ottenga la ripresa occupazionale ed economica della città e dell’intero comprensorio. O L’Aquila diventa città prevalentemente turistica oltre che universitaria ed amministrativa, oppure non avrà futuro, diventerà un grosso borgo ed i giovani saranno costretti ad emigrare.
Che questa ennesima ricostruzione dell’Aquila non venga bollata negli Annali, a vergogna della nostra generazione, come la peggiore di tutta la sua storia, la meno creativa, la meno lungimirante!
Con cordiali ossequi.
Orlando Antonini