I due sono stati condannati in appello per l’uccisione di 9 cuccioli di cane poichè il canile non avrebbe avuto posti disponibili. La sentenza di condanna è dunque definitiva. In primo grado la condanna era stata di due mesi e dieci giorni di reclusione.
“Giustizia per le vittime di queste soppressioni – commenta Ilaria Innocenti, responsabile del settore cani e gatti della Lav, costituitasi parte civile -: non chiedevamo altro e finalmente la Suprema Corte ha posto la parola fine a una storia di crudeltà e indifferenza, ancor più grave se consideriamo che gli imputati di questa vicenda giudiziaria sono due medici veterinari, di cui un dirigente, cioè professionisti al servizio del bene pubblico che avrebbero dovuto sempre assicurare la tutela e il benessere degli animali”.
“Ora con questo atto giudiziario definitivo – dichiara Gianluca Felicetti, presidente Lav – i due veterinari non potranno non essere radiati dall’Albo poichè, come specifica la normativa sul tema, hanno compromesso gravemente la loro reputazione e la dignità dell’intera classe sanitaria”.
I fatti risalgono alla seconda metà del 2004, quando il dirigente veterinario ordinò al proprio collega la soppressione di nove animali, per presunti motivi di “ordine pubblico” in base alla richiesta, legittima secondo la difesa, del proprietario del terreno dove vivevano gli animali che invece aveva chiesto solamente un intervento per farli accudire da qualcuno. I cuccioli vennero uccisi con un’iniezione di Tanax eseguita dal dipendente della Asl su ordine del proprio dirigente. Fatti denunciati dalla LAV e dalla Lega nazionale per la Difesa del Cane. Negli atti è emerso anche il particolare che non era la prima volta che i veterinari Asl eseguivano uccisioni del genere.
“La sentenza va a ribadire quanto da noi sostenuto fin dall’inizio – spiega l’avvocato Carla Campanaro, dell’Ufficio Legale Lav – ovvero che il rapporto fra cane e proprietario giuridico non può essere ridotto ad una banale disponibilità dell’uomo sull’animale, ma deve tener conto della capacità di soffrire di quest’ultimo, in quanto essere senziente meritevole di tutela. Già in primo grado il Tribunale dell’Aquila aveva rilevato che grazie all’allora recentissima legge sul maltrattamento di animali, la 189 del 2004, ‘il proprietario non ha più la totale disponibilità dell’animale, nè può infliggergli gratuite sofferenze nè toglierli la vita senza valide giustificazioni’. Un’evidenza sottolineata anche dalla sentenza d’appello del 2011, che oggi trova riconoscimento una volta per tutte nella decisione della Cassazione”.