Terremoto, gli aquilani affetti dalla sindrome metabolica

sindrome_metabolicaL’Aquila. Gli aquilani affetti da sindrome metabolica a seguito del terremoto del 2009. Lo rivela una ricerca nata dalla collaborazione tra l’Università Gabriele d’Annunzio, i Laboratori di ricerca della Fondazione Giovanni Paolo II di Campobasso e il Nucleo di farmacisti Volontari della Protezione civile.

Pubblicato sulla rivista internazionale Nutrition, metabolism and cadiovascular diseases, lo studio ha letteralmente portato la ricerca scientifica sul terreno, tra la gente del terremoto. Nei mesi successivi al sisma, infatti, un camper specificamente attrezzato con a bordo medici e farmacisti volontari ha visitato la zona dell’emergenza offrendo una serie di analisi e misurazioni, effettuate con la collaborazione di Roche Diagnostic e Voden Medical. Dal peso alla circonferenza addominale, dal colesterolo alla glicemia, dalla pressione arteriosa alle abitudini alimentari, sono stati raccolti molti dati sui 278 cittadini che hanno partecipato volontariamente. Tutte le informazioni sono state quindi messe a confronto con quelle ottenute in popolazioni non colpite da alcuna catastrofe, in particolare i partecipanti al Progetto Moli-sani, condotto in Molise.

“I risultati – spiega Assunta Pandolfi, Direttore dell’Unità operativa di Fisiopatologia Vascolare del Dipartimento di Scienze Sperimentali e Cliniche della D’Annunzio – mostrano come il gruppo studiato presenti una percentuale più alta di Sindrome Metabolica. La prevalenza di tale quadro nel campione di aquilani è infatti risultata del 50%, contro un 30% dello studio Moli-sani e poco meno (27%) rispetto ai dati dell’Istituto Superiore di Sanità relativamente alle popolazioni del centro-sud e isole”.

Non si tratta di una vera e propria patologia, come spiegano gli studiosi, ma di un insieme di alterazioni antropometriche e del ì metabolismo che possono elevare notevolmente il rischio di diabete e malattie cardiovascolari. I fattori coinvolti sono diversi: un livello di trigliceridi superiore alla norma; un livello troppo basso di colesterolo HDL (quello chiamato “buono”); una pressione arteriosa superiore al normale; un livello di glicemia a digiuno superiore al normale ed infine un girovita eccessivo, cioe’ un accumulo di grasso nella zona addominale. Se una persona presenta almeno tre di queste alterazioni, allora la Sindrome Metabolica è presente. 
“Queste persone – continua la Pandolfi – presentano quindi una maggiore alterazione di alcuni valori molto importanti per la salute rispetto a chi non ha vissuto l’esperienza del terremoto. Ma il dato forse più importante è la differenza che osserviamo all’interno del gruppo aquilano tra chi ha perso la propria casa e chi no. La Sindrome Metabolica è infatti maggiormente presente tra coloro che sono stati costretti a vivere nelle tendopoli o negli hotel”.

“Possiamo pensare – commenta Augusto Di Castelnuovo, epidemiologo dei Laboratori di ricerca nella Fondazione di ricerca e cura “Giovanni Paolo II” di Campobasso – che il terremoto abbia un effetto negativo sulla salute delle persone per due motivi. Da un lato abbiamo la situazione di forte stress dovuta alla catastrofe ed agli stravolgimenti che ne sono seguiti, come ha dimostrato un recente studio condotto dagli psichiatri dell’Università di L’Aquila e dell’Ospedale San Salvatore dello stesso capoluogo. Sappiamo infatti che lo stress può avere effetti sulla salute cardiovascolare. D’altro canto, il cambiamento di abitudini causato dal vivere fuori della propria casa, la perdita di importanti contatti sociali e familiari, le modifiche nell’alimentazione sono tutti elementi che possono partecipare a formare un quadro di maggiore rischio”.

“Anche se il campione di cittadini aquilani non sia particolarmente numeroso e la modalità di reclutamento condizionata dallo stato di emergenza, ciò che questa ricerca può insegnarci – commenta ancora la professoressa Pandolfi – è la necessità di fronteggiare a più ampio raggio una catastrofe come è stata quella di L’Aquila. Gli interventi, quindi, non sono solo quelli di soccorso, che caratterizzano l’immediato post-terremoto, ma c’è da considerare a lungo termine la vita quotidiana delle persone. E’ necessario sviluppare dei programmi di prevenzione, soprattutto nell’alimentazione e nelle abitudini di vita. Non possiamo permettere che un terremoto, con il dolore e lo sconforto che causa nei primi tempi, possa prolungare la propria azione negativa anche negli anni futuri, incidendo sulla salute della gente”.

 

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