Sono state scarcerate le quattro persone finite ai domiciliari nell’ambito dell’operazione denominata “Penelope” per l’attitudine degli indagati (11 in tutto) “a fare e disfare corrispondenza ufficiale tra enti e impresa concordandone i contenuti tra mittente e destinatario”.
Si tratta di Gianfranco Iacoboni, 60 anni, sindaco di Magliano dei Marsi, Angelo Iacomini, 46 anni, assessore dello stesso ente, Franco Celidetto Gianfranco, 58 anni, imprenditore di Massa d’Albe e il fratello Sergio Celi, di 54 anni.
Indagati nello stesso procedimento due noti personaggi aquilani, l’imprenditore di 65 anni Armido Frezza e l’ingegnere di 55 anni Volfango Millimaggi, oltre al geometra aquilano Marcello Accili, 60 anni e agli imprenditori marsicani Alessandro Arcangeli, di 40 anni, Armando Romanelli, di 59 anni e Marco Sanzi, di 52 anni. Coinvolto, infine, Luigi Antonio Morgante, di 51 anni, cugino del sindaco, che secondo l’accusa ha ottenuto l’assunzione dalla ditta Celi in piena campagna elettorale.
Ai quattro arrestati è stato concesso l’obbligo di firma.
L’avvocato Leonardo Casciere, legale di fiducia dei due amministratori ha annunciato l’intenzione di ricorrere ugualmente al Tribunale della Libertà dell’Aquila, in quanto i suoi assistiti sono “totalmente estranei ai fatti contestati”. Il collega Antonio Milo, invece, legale di fiducia dei Celi sull’argomento si è riservato di decidere.
L’attività dei Carabinieri del Noe di Pescara ha portato alla contestazione di diversi reati, dalla corruzione alle violazioni ambientali, dal furto all’abuso d’ufficio, vede coinvolte, a vario titolo, appunto 11 persone tra pubblici amministratori, imprenditori e professionisti, e portato al sequestro di beni per 10 milioni tra cui una cava nella Marsica, parte di un impianto di calcestruzzo all’Aquila e sei ville a schiera a Carsoli.
L’indagine è partita a seguito dell’ascolto di alcune intercettazioni telefoniche, a giugno del 2010. Regali e promesse di voti: è questo che si cela dietro agli arresti. Secondo l’ipotesi accusatoria i due amministratori pubblici avrebbero stretto “rapporti corruttivi” con i due imprenditori, i due fratelli Sergio e Franco Celi, titolari dell’impresa Celi Calcestruzzi. Da un lato la promessa di appoggio elettorale per la campagna del 2010 ma anche soldi per avere in cambio una delibera “di favore”.
Nel corso dell’indagine gli inquirenti avrebbero scoperto altri elementi inquietanti. Secondo quanto verificato dai militari del Noe di Pescara, infatti, i due fratelli avrebbero sventrato l’argine del fiume Vera che si trova nei pressi del loro impianto di Bazzano, dove producono calcestruzzo.
Gli inquirenti hanno scoperto che proprio nella cava i fratelli hanno sottratto migliaia e migliaia di metri cubi di inerti “in modo abusivo”. Questa operazione avrebbe generato un ingiusto vantaggio economico ai due. Ma per portare a termine il piano, dice la procura, i Celi avrebbero beneficiato anche delle certificazioni false firmate da tecnici compiacenti. Si calcola una frode alle case dello Stato per “centinaia di migliaia di euro”.