Terremoto L’Aquila, quando quel che resta è il dolore e la paura

terremoto_casaL’Aquila. Sono trascorsi due anni e mezzo da quell’indimenticato e indimenticabile 6 aprile 2009. Da allora, L’Aquila e gli aquilani tentano in ogni modo e con ogni mezzo di recuperare quella “normalità” che sembra essere stata sotterrata sotto le macerie. Ma non è facile, nonostante gli sforzi e i buoni intenti. Di errori se ne sono fatti tanti in questi due anni e mezzo, ma qualcosa di buono è anche stato realizzato. Di seguito, riportiamo il testo integrale della riflessione proposta da Angelo Ludovici, segretario provinciale del Pdci L’Aquila.

 

Qualche giorno fa mi trovavo a passeggiare tra le vie della mia Città con due giovani amici austriaci e ci trovavamo in via della Mezzaluna ad osservare il crollo del palazzo che a suo tempo ospitava la “casa di accoglienza” o “casino”, come comunemente si dice. In quel silenzio infernale, mentre si chiacchierava a bassa voce senza sapere il perchè,  considerando che non si disturbava nessuno, ho sentito un rumore che mi sembrava familiare. Era il cigolio di una porta posta al terzo piano del palazzo e che il vento apriva e chiudeva. Ho dovuto fare una certa fatica per capire che quel rumore, in quel momento ed in quel contesto, non era di casa mia ma, uno spazio limitato in cui i rumori di questa

natura ti fanno pensare alle tue pigrizie per aver fatto accumulare polvere e ruggine alle cerniere della porta. Quel cigolio era diverso, la porta era sospesa nel vuoto di una parete, vi era, in un altro angolo della casa distrutta, un armadio aperto con i vestiti ancora appesi e che aspettano che il padrone li vada a prendere, si vedevano i resti di una cucina e tante altre cose che a vederle lì, sospese nell’aria e nel tempo ti facevano tremare. Quel cigolio ti faceva ripiombare nella plumbea e dura realtà in cui viviamo da due anni e mezzo. Vicino a quel palazzo, nella via parallela, Via Arischia, la notte del 6 aprile erano morte due persone, in Via Arco del Capro, a 50 metri di distanza era morto un amico con il quale ci incontravamo spesso mentre portavamo a spasso i nostri cani. Due anni e mezzo e, sicuramente la ruggine e la polvere che si è accumulata sulle cerniere della porta è una polvere diversa, è quella della notte del 6 aprile che ti porti dietro e che non riesci a toglierti di dosso ma anche quella che si è accumulata in questi due anni e mezzo. Quella notte, mentre si scappava, non si respirava solo polvere, ma l’odore che essa emetteva. Un odore di muffa accumulata in tanti anni di storia associata alla puzza di gas che si sentiva in aria.. E’ una strana sensazione ma quel cigolio, in fondo era un richiamo al passato ma anche al presente. Quella notte fu una notte da incubo e solo chi l’ha vissuta se ne porta silenziosamente dietro il ricordo. Ma quel cigolio che solitamente, nei sogni, viene associato al ladro che entra in casa di notte, di nascosto e silenziosamente, era di una porta che si apriva alla Città e te la mostra in tutta la sua drammaticità. In fondo, a pensarci bene, il ladro agisce sempre nell’ombra dei suoi segreti, si crea un’immagine diversa da quella reale, fa sempre apparire gli altri malandrini e lui santo, predica morali a tutti, non smette un momento per mettere in evidenza le sue virtù. Ma in ogni cosa c’è l’imprevisto ed il più delle volte è il cigolio di una porta o, nel mondo in cui viviamo, di una registrazione telefonica, che ti fa fare un soprassalto. Nel momento in cui avverte quel rumore, immagino che il ladro entri in situazione di panico, imprechi contro il padrone che non ha messo l’olio alla cerniera, pensa di fuggire e rimane sospeso nel dubbio se portare fino in fondo la sua azione. Quel cigolio, in realtà, produce un effetto insperato fino a quel momento. Il ladro si sente un uomo sicuro e forte in tutti i sensi; pensa di essere il più forte, pensa che i suoi nemici siano stati già abbattuti e che non ha ostacoli alla sua azione. Ma quel cigolio gli produce un effetto che non dimenticherà mai: la paura. La paura è peggio di qualsiasi incubo perchè non riesci più a capire il confine tra la realtà e l’immaginario, ti crea insicurezza, non riesci a capire la strada giusta da prendere, insomma cammini su una strada puntellata da chiodi. L’insicurezza che ti produce la paura ti indurrà a fare altri errori, a non fare passi indietro e a continuare in una strada sbagliata. Sono trascorsi due anni e mezzo dal 6 aprile ed ogni giorno che passa la lista di coloro che ridevano e che ridono si allunga sempre di più e la citazione di Silone, riferita al terremoto di Avezzano del 1915, diventa sempre più attuale: “Nel terremoto la natura realizzava quello che la legge a parole prometteva e nei fatti non manteneva: l’uguaglianza. Uguaglianza effimera. Passata la paura, la disgrazia collettiva si trasformava in occasione di più larghe ingiustizie. Non è dunque da stupire se quello che avvenne dopo il terremoto, e cioè la ricostruzione edilizia, per opera dello Stato, a causa del modo come fu effettuata, dei numerosi brogli, frodi, furti, camorre truffe, malversazioni di ogni genere cui diede luogo, apparve alla povera gente una calamità assai più penosa del cataclisma naturale. A quel tempo risale l’origine della conclusione popolare che, se l’umanità una buona volta dovrà rimetterci la pelle, non sarà in un terremoto o in una guerra, ma in dopo terremoto o in un dopoguerra”. Essere consapevoli di questa situazione, significa che oltre al dolore per la tragedia vissuta, la rabbia che ti porti dentro diventa incommensurabile e non esiste silenzio che possa farla tacere.

 

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