Roma. Manganellate, posti di blocco, tappe forzate. E poi il caldo, tremendo, quello che solo una città come Roma può offrire. Di certo non il caldo che fa a L’Aquila. Già alla vigilia si sapeva che non sarebbe stata una giornata breve per gli aquilani. Risveglio all’alba, partenza alle 7,00 dalla Fontana Luminosa e Centi Colella. Per non parlare di chi si era organizzato da solo con le automobili, perchè non si sono trovati più dei 40 autobus prenotati nei giorni precedenti.
E in tanti, a Roma, si sono uniti nelle tappe degli aquilani, una sorta di “via crucis” portata avanti dalle forze di polizia che fin dal casello autostradale di Roma Est avevano detto chiaramente che Piazza Venezia, luogo di ritrovo iniziale per i manifestanti, era off-limits. Sono così arrivati alla spicciolata, i 40 autobus aquilani e da lì è iniziata una pagina che rimarrà nella memoria degli aquilani.
Obiettivo iniziale era raggiungere Montecitorio e nel pomeriggio Piazza Navona. Ma i posti di blocco prima e le manganellate poi, lungo Via del Corso e sotto Palazzo Grazioli, hanno cercato in tutte le maniere di impedire il movimento e la visibilità degli aquilani. Tanto che, alla fine, sono tre i ragazzi colpiti alla testa, con gli altri strattonati e spintonati a lungo.
“Non è la botta, il dolore passa: è la delusione e la rabbia nei confronti di come ci hanno trattato”, spiegherà poi Marco, uno dei ragazzi che è tornato a L’Aquila con la testa fasciata e le bende insanguinate. Ed i gonfaloni della città e dei Comuni arrivati fino a Roma per chiedere che venissero rispettati i loro diritti, in testa al corteo, a fare da scudo fra i cittadini e i manganelli.
Sono stati molti i momenti di tensione, momenti che hanno fatto pensare che il clima potesse farsi ancora più pesante. “L’Aquila non merita le manganellate”: questo il commento di Stefania Pezzopane, ex presidente della Provincia de L’Aquila. “Anche noi enti locali siamo stati respinti, perchè il comando dato era quello di allontanarci, come se fossimo dei sovversivi“.
Proprio “sovversivi” è una delle parole che dal furgone-palco allestito dai comitati in Piazza Navona viene pronunciata più spesso e con più stupore. L’Aquila città della pace, città di Celestino V. Gli aquilani forti e gentili. Con quella violenza, condannata da tutte le parti politiche – e che verrà accertata dal ministro Maroni – sembra essersi aperto un nuovo capitolo. Un capitolo che non vede più gli aquilani dire grazie, con il cappello in mano, secondo una metafora usata più volte dalla Pezzopane. Un capitolo in cui l’intera comunità, senza divisioni, fa sapere che a L’Aquila niente è risolto e niente è stato ricostruito. Che il miracolo aquilano, se c’è, è quello dei cittadini che ancora sperano di poter tornare a casa.
E la notizia che arriva dal colloquio fra il sindaco Cialente e gli esponenti del governo viene presa con le dovute cautele. All’analisi del ministro Tremonti c’è un emendamento che farà pagare le tasse agli aquilani al 40%, in 10 ann, ma a partire dall’anno in corso, senza quindi ricalcare le orme dei provvedimenti presi nel dopo terremoto delle Marche e dell’Umbria. Ma comincia ad essere qualcosa, per il sindaco e anche per i cittadini arrivati nella Capitale.
“Forti e gentili sì. Fessi no”. La giornata si è chiusa all’insegna di questo motto aquilano. Prima con la contestazione nei confronti di una troupe del TG1, incapace di rispondere e senza parole di fronte all’incalzare delle domande degli aquilani. Poi con la protesta, davanti al dipartimento della Protezione Civile sul Lungotevere, dove erano stati quasi casualmente parcheggiati gli autobus.
Soddisfazione, insomma, per la giornata e per i risultati raggiunti: una mobilitazione enorme per una comunità che si ritrova sempre più compatta e che non vuole chinare la testa di fronte alle ingiustizie perpetrate alle proprie spalle.
Eleonora Falci
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