Chieti. E’ fuggito lunedì scorso dalla struttura residenziale riabilitativa e psichiatrica ‘Il Quadrifoglio’ di Rosello dove era ricoverato, il “bombarolo” Roberto Di Santo.
Il 64 enne di Roccamontepiano, impiantista disoccupato, nel 2013 ha seminato il panico fra Chieti e Pescara con una serie di attentati incendiari. Subito è scattata la caccia all’uomo da parte delle forze dell’ordine, allertate dal titolare della struttura. Come riferisce il quotidiano il Centro, pare che l’uomo sia scappato dalla sala fumatori. Le sue “gesta” hanno avuto inizio l’8 gennaio 2013. Di Santo, realizzato un ordigno, poi rivelatosi innocuo, voleva far saltare in aria una villetta di Cepagatti. Ha poi incendiato numerose auto, e il 10 gennaio ha piazzato un’automobile davanti all’ingresso del tribunale di Chieti, con all’interno una bombola di gas da campeggio inesplosa, dandola alle fiamme.
La vettura, una Toyota starlet, è risultata essere intestata alla sorella di Di Santo, ma da quest’ultimo effettivamente utilizzata. Pochi giorni dopo il “bombarolo” è tornato a farsi vivo: con i capelli tagliati e camuffato a dovere, in bicicletta è arriva davanti alla sede dell’emittente televisiva Rete 8, in viale Abruzzo, allo Scalo, per consegnare dei dvd con videomessaggi deliranti, annunciando altre azioni dimostrative. Dopo 10 giorni di latitanza Di Santo è stato rintracciato nelle campagne di Rosciano, sulla provinciale di bonifica. I militari lo hanno scoperto notando il suo camper con il tetto verde targato Alessandria nascosto in un garage.
Lo aveva parcheggiato in uno spazio molto piccolo, dal quale i carabinieri hanno avuto grosse difficoltà a tirarlo fuori. Il mezzo era coperto da una tenda verde di canapa e da lamiere ondulate. Sul tavolino c’era la scritta “Boom, ci vediamo a Roma”. Era riuscito a sopravvivere al freddo dell’inverno grazie a una bombola di gas, una grossa scorta di generi alimentari, un computer portatile, cd rom e trucchi per camuffarsi.
E’ stato condannato dal Tribunale di Chieti a 5 anni da scontare in una clinica psichiatrica e 6 mesi in una casa di cura. Durante il processo l’imputato non ha mai negato le sue responsabilità, parlando di quei gesti come di “una protesta contro le ingiustizie subite da lui e dalle persone come lui”.