Chieti. Obi Bcc di Chieti, dopo gli intenti di licenziamento individuali per ragioni economiche a danno di 4 dipendenti su 60, in seguito all’incontro in Commissione Territoriale del Lavoro di Chieti dello scorso 30 luglio nel rispetto Legge Fornero e allo sciopero indetto dalle sigle sindacali, ampliamente partecipato dai dipendenti, l’Azienda non fa un passo indietro sulle scelte fatte.
Le organizzazioni sindacali stigmatizzano tali scelte Aziendali in quanto le strade per evitare un acerrimo conflitto ve ne erano ed alcune sono ancora percorribili pur di salvaguardare tutti i posti di lavoro nonché il mantenimento del reddito utili alla sopravvivenza delle famiglie, che in questo territorio vengono decimate sempre più da scelte scellerate e senza confronto sindacale.
“La realtà territoriale chietina sul commercio – spiegano le organizzazioni sindacali in una nota – è davvero pericolosa, basti pensare che da gennaio a giugno 2013 sono state calcolate (fonte Inps) circa 2 milioni di ore di casse integrazioni solo nell’ambito del commercio e che grandi marchi come Obi, senza escludere altre Aziende, vede sempre più l’imperio del taglio di teste in modo discriminato senza che si possa mettere in campo l’utilizzazione di ammortizzatori sociali previsti proprio in questi casi. La scelta della Obi Bbc che si occupa della rivendita di tutto quanto possa essere utile al giardinaggio e all’hobbistica è fortemente discutibile sul piano del metodo e del merito, solleva una responsabilità sociale che un colosso Nazionale non può derubricare a semplice contabilità dei licenziamenti, esistono le storie dei lavoratori e lavoratrici che hanno da anni contribuito ai profitti Aziendali con professionalità e dedizione. Un modello di business basato sui licenziamenti è un modello perdente, di basso livello, di scarsa portata. Ci saremmo aspettati di più da chi dirige un gruppo così importante come Obi. Questo atteggiamento riporta le conquiste dei lavoratori indietro negli anni, attraverso scelte unilaterali, non condivise e che nei fatti portano i lavoratori colpiti da questi processi riorganizzativi a richiudersi a riccio, preoccupati della perdita di posti di lavoro”.