Per la morte di Daita, sopraggiunta dopo due settimane di coma, i famigliari si sono costituiti parte civile; sotto processo per omicidio preterintenzionale è finito Emanuele D’Onofrio, 24enne di Chieti, che oggi era in aula, assistito dall’avvocato Roberto Di Loreto.
D’Onofrio, che quella notte si fece a sua volta visitare al pronto soccorso ove gli venne riscontrata una contusione al mento, sentito dalla Squadra Mobile durante le indagini ha sostenuto di aver reagito con un solo pugno a un pugno che gli era stato sferrato da Daita.
Secondo il medico legale e consulente della Procura di Chieti, Cristian D’Ovidio – che su Daita effettuò un’ispezione cadaverica – furono invece due i colpi “scientificamente provati” sul viso della vittima; quando cadde a terra, ha ricostruito il medico, Daita aveva già perso i sensi. Un quadro emorragico esteso quello riscontrato. Prima della colluttazione con D’Onofrio, Daita quella notte si sarebbe rivolto a un amico dell’imputato.
“Mi ha chiesto una sigaretta, ma non la avevo, ha detto che mi avrebbe aspettato fuori – ha riferito il testimone in aula – Mi ha minacciato. Ho deciso di ignorarlo perché temevo una reazione”.
Ai giudici ha poi detto di non aver visto il momento in cui Daita fu colpito. “Dopo che è caduto a terra si è formato un capannello, ci siamo avvinati tutti per sincerarci delle sue condizioni”. Una ragazza presente quella sera ha riferito che Daita era “alterato” e che rivolgendosi a D’Onofrio “parlava strano ed Emanuele era infastidito”.
“Daita ha colpito Emanuele – ha raccontato la ragazza – gli si è buttato addosso e gli ha dato un pugno. Sono andata nel gazebo, ero di spalle, ho sentito un tonfo e Daita era per terra”. La prossima udienza è stata fissata al 12 giugno per ascoltare altri testimoni.