Denis Cavatassi, prosegue la mobilitazione. La visita di un amico in carcere

denis_cavatassi_liberoTortoreto. Una speranza lunga 9mila chilometri, quella che passa tra l’Italia (dove familiari e amici sono in ansia dallo scorso 19 marzo) e la Thailandia, a Pukhet per l’esattezza, dove Denis Cavatassi resta ancora dietro alle sbarre per una vicenda, per certi versi assurda, che deve ancora essere chiarita. Bisognerà attendere almeno fino alla prossima settimana per sapere se l’imprenditore di Tortoreto, accusato di essere il mandante dell’omicidio del socio Luciano Butti, potrà finalmente uscire dall’angusto (per usare un eufemismo) penitenziario di Pukhet.

 

La mobilitazione, nel frattempo, prosegue. Gli amici hanno avviato una raccolta di fondi (attraverso l’associazione Beat Generation), operazione necessaria per far sì che le innegabili e crescenti richieste delle autorità asiatiche, per la scarcerazione di Denis, possano essere esaudite. In ogni caso, forse già lunedì prossimo le autorità thailandesi potrebbero esprimersi sulla terza richiesta di liberazione di Cavatassi, dopo che le prime due sono state rigettate. Oggi, nel frattempo, nella cittadina asiatica è volato il padre di Denis, per seguire da vicino le pratiche per la scarcerazione. I giudici, come detto, potrebbero esprimersi nelle prossime ore, con la speranza di tutti che ora l’esito possa essere diverso. Negli ultimi giorni, a Pukhet, ha soggiornato anche un amico di Denis, Dino Fazzini, compagno di diversi viaggi, che in più occasioni lo ha incontrato nei colloqui in carcere. L’amico, dopo essere stato qualche giorno in Thailandia, ora è tornato al lavoro e racconta le sue sensazioni dopo aver fatto visita all’imprenditore. “ Quasi tutti i giorni della mia permanenza in Thailandia sono stato da Denis”, racconta Dino Fazzini, “ e assieme ad altri amici e familiari abbiamo di dargli il supporto morale. Le condizioni di vita, all’interno del penitenziario, sono disumane acuite dal fatto che ci si ritrova dietro alle sbarre senza un vero motivo plausibile. Vivere in una cella di 150 metri quadrati, con altri 200 detenuti, non si ha nemmeno lo spazio per poter dormire. Nel nostro piccolo abbiamo cercato di sostenerlo, e nonostante tutto Denis si è fatto forza cercando di convivere con questa situazione, che spero finisca presto”.

 

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