Da almeno venti anni, con una ciclicità per molti versi imbarazzante, diversi esponenti del Consiglio Regionale tentano di dare l’ultima spallata all’economia delle nostre città, presentando proposte di legge che diano la possibilità di trasformare i capannoni inutilizzati delle aree industriali in centri commerciali.
L’ultima, in ordine di tempo, è la proposta di legge n. 49/2019, che rischia di aprire una nuova fase storica in cui, in barba alla moratoria regionale della grande distribuzione che blocca le nuove aperture oltre i 2.500 metri quadrati – moratoria che dovrà comunque essere rinnovata – rischia di trasformare le ex aree industriali in zone ad altissima concentrazione di “parchi commerciali”, dando la possibilità di edificare anche negli spazi verdi.
Una minaccia prepotente per le attività economiche delle città, visto che la maggior parte delle aree in questione è dislocata nella primissima periferia urbana, a pochissimi minuti dalle vie commerciali più importanti. Una minaccia anche per la sostenibilità di migliaia di posti di lavoro: la concentrazione di grande distribuzione organizzata nel territorio regionale – che ha garantito all’Abruzzo un pesante record europeo – ha già portato, come ampiamente previsto, ad una saturazione del mercato degli stessi centri commerciali, con risvolti negativi sul piano occupazionale come stanno rivelando le cronache sindacali degli ultimi mesi e degli ultimi giorni che raccontano di punti vendita chiusi, centinaia di lavoratori licenziati, frequenti passaggi di insegne, incertezze crescenti anche fra i dipendenti dei gruppi maggiori.
I risvolti per le attività economiche indipendenti del commercio, dell’artigianato e dei servizi sarebbero devastanti: le ex aree industriali oggi in alcuni agglomerati sono parte integrante del tessuto urbano, immediatamente vicine a quei quartieri semicentrali e periferici dove negli anni della crisi hanno retto migliaia di negozi di prossimità e servizi di quartiere. Questi, ora, sarebbero le prime vittime.
Questa proposta si inserisce, purtroppo, in una serie di costanti picconaggi del Testo Unico del Commercio (Legge 23/2018) ad uso e consumo di pochi gruppi organizzati ed a discapito della maggioranza degli operatori, che dopo tre lunghi anni di lavoro in Assessorato ed in Consiglio Regionale ha un nuovo Testo Unico, votato sia dell’allora maggioranza che dell’allora opposizione di centrodestra.
Noi, che rappresentiamo decine di migliaia di operatori economici, vogliamo che si apra una fase nuova di sviluppo per le ex aree produttive, e gli strumenti sono già disponibili: si possono migliorare le leggi per stralciare le aree industriali attualmente dismesse e riportarle nella disponibilità della programmazione urbanistica provinciale e comunale.
Inoltre, nel momento in cui si parla di nuova perimetrazione delle Zone economiche speciali (Zes) e di promozione di nuove iniziative industriali, si sottrarrebbero opportunità di nuovi insediamenti per start up e pmi.
Ma la crisi strutturale dell’Arap e del Consorzio per lo sviluppo industriale Chieti Pescara non può essere pagata dalla piccola impresa. La politica ha il dovere di elaborare nuovi strumenti di sviluppo e di innovazione, e non provare a replicare, aggravandone i difetti, modelli già obsoleti ma comodi perché a portata di mano. Dovrebbe inoltre lavorare per eliminare certi pesanti oneri tributari che Arap e Comuni impongono sulle aziende duplicando i costi ma non i servizi. Noi siamo pronti a fare la nostra parte per dare un contributo costruttivo, ma contestiamo il metodo e il merito di questa iniziativa legislativa. Le Istituzioni troveranno la nostra ferma opposizione in tutti i luoghi nei quali tenteranno di aprire le ex aree industriali ai centri commerciali.
Le Associazioni firmatarie: Casartigiani, Cna, Confartigianato, Confcommercio, Confesercenti, Confindustria, Upa Claai