Covid19, fatturato a picco per le imprese abruzzesi. Riapertura? Mancano i soldi. Lo studio

Ricavi dimezzati nel 2020, con il turismo che deve fare i conti con una caduta a picco del 66%. Ma anche giudizi assai poco lusinghieri sui provvedimenti sin qui adottati dal Governo Conte per contrastare la crisi provocata dalla pandemia, mentre ben sette imprese su dieci sono costrette a far ricorso agli ammortizzatori sociali e hanno difficoltà enormi di accesso al credito.

 

E’ questa la fotografia tracciata da un sondaggio nazionale della CNA su un campione di circa 14mila imprese, 149 delle quali abruzzesi, con 30 dell’Aquila, 34 di Chieti, 55 di Pescara e 30 di Teramo. Il quadro delineato dalla rilevazione della Confederazione artigiana sul dramma provocato dall’emergenza sanitaria svela insomma una crisi davvero senza precedenti nella storia del Paese e regionale. Perché l’Abruzzo appare assolutamente allineato alla tendenza nazionale, e “l’azione della giunta Marsilio – come dice il presidente della CNA Savino Sareceni – pur avendo dato negli ultimi giorni segnali apprezzabili sulle riaperture, tuttavia non ha certo brillato per particolare tempestività ed efficacia nell’immissione di risorse finanziarie nel sistema economico regionale. Delle risorse stanziate, al momento, non vi è traccia alcuna tra le imprese”.

Il crollo del fatturato resta il problema dei problemi: la stima per l’anno in corso parla di un crollo del 42% rispetto a un anno fa, con alcuni comparti il cui giro d’affari vedrà cadute a picco: così -56,7%, per la moda; -54% per il commercio. Flessione più contenuta, si fa per dire, nelle previsioni sui servizi alle imprese (-40%). L’indagine ha interessato in Abruzzo aziende dei settori dell’alimentare, moda, legno e arredo, produzione, costruzioni, commercio, trasporto e logistica, turismo, servizi alla persona e servizi alle imprese. A loro sono state rivolte 24 domande che hanno spaziato dal numero di dipendenti al fatturato, dal rapporto con clienti e fornitori all’adozione o meno del lavoro a distanza, dalla richiesta di ammortizzatori sociali a quelle di accesso al credito.

Nota particolarmente critica, come detto, il giudizio riservato alle misure messe in campo dall’esecutivo per fronteggiare la cosiddetta “Fase 1” e affrontare il momento delle riaperture: con una sostanziale bocciatura di entrambe, e in particolare sui provvedimenti riservati a credito e liquidità, cui il 70% si dice molto contrario, anche in ragione del fatto che il 95% delle imprese che han fatto richiesta di finanziamenti sono ancora in attesa di risposta. Solo sulla moratoria relativa ai finanziamenti sull’uso degli ammortizzatori sociali il 30% del campione ha espresso apprezzamento per le misure realizzate: un’impresa su due ha fatto ricorso alla sospensione dei versamenti fiscali e contributivi e solo il 50% che ha presentato domanda per la moratoria sui finanziamenti ha ricevuto risposta positiva. Con il paradosso che le imprese operanti nei settori finiti dall’inizio dell’epidemia in regime di lockdown non abbiano potuto beneficiare della sospensione. Ed infatti solo il 65,9% del turismo, il 63,4% dei servizi per la persona, il 58,2% del commercio e il 53% della moda ne ha potuto usufruire. Quanto agli ammortizzatori sociali, ne ha fatto uso il 69,3% delle imprese con dipendenti (il 51% per sospensione a zero ore), con punte nella moda (78,9%), produzione (78,6%), legno e arredo (78,4%), servizi alla persona (77,5%).

Lecito, infine, chiedersi come vedano il proprio futuro gli imprenditori intervistati, che avrebbero preferito una programmazione della ripartenza più articolata. Dall’indagine della CNA emerge una miscela di pessimismo accanto a un forte senso di responsabilità. Lo dice il fatto che tra gli investimenti prioritari la sicurezza sia indicata dal 77,9% del campione, con una punta dell’80% nel segmento servizi alla persona. Così, solo il 12% del campione indica la necessità di ripartire immediatamente, costi quel che costi: a costo pure di una nuova ondata di contagi.

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