Pescara. Segnali di risveglio per l’export abruzzese nei primi tre mesi dell’anno, nonostante i quattro milioni di euro in meno rispetto allo stesso periodo del 2012.
Lo rileva una ricerca effettuata su dati pubblicati dall’Istat l’11 giugno scorso (relativi al primo trimestre 2013) da Aldo Ronci per la Cna abruzzese. Secondo lo studio, nel primo trimestre dell’anno l’ammontare complessivo delle esportazioni abruzzesi è stato infatti pari a 1.716 milioni di euro, mentre nel primo trimestre del 2012 era stato di 1.720, con una flessione, quindi, di 4 milioni di euro e un valore percentuale che subisce una riduzione dello 0,2%, più lieve di quella nazionale (0,7%).
“Il risultato di questi mesi – avverte il curatore della ricerca – è frutto di una forte ripresa delle esportazioni di autoveicoli e di altri mezzi di trasporto, che nell’anno 2012 avevano segnato pesantissime flessioni, ma anche di un forte decremento degli altri prodotti. In sostanza, volendo tradurre in nomi, vanno bene Sevel ed Honda; male le imprese abruzzesi”.
Per capire quanto il settore del trasporto influenzi le esportazioni, ricorda ancora Ronci, “basta dire che esse rappresentano, insieme, il 43% del totale dell’export, mentre a livello nazionale gli stessi settori contano per appena il 9%. E che mentre a livello nazionale l’export degli autoveicoli cresce di appena l’1,9%, quello regionale vola al +10,3% (con 60 milioni in più in termini assoluti) e il settore delle due ruote prodotte in Abruzzo sale addirittura a quota +15,3% (con 14 milioni in più), in controtendenza rispetto alla media Italia: -5,3%”.
In termini assoluti, il valore delle esportazioni generate dai mezzi di trasporto prodotti in Abruzzo (furgoni e moto) lievita, rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, di 74 milioni di euro; l’esatto contrario di quanto accaduto per i prodotti esportati dalle imprese autoctone, che si riduce di 78 milioni di euro, con una tendenza negativa (-7,4%), nello stesso periodo, largamente superiore alla media nazionale (-0,5%). Da cui si spiega la differenza negativa di quattro milioni di euro sul totale. I decrementi più importanti (oltre i 5 milioni), ovvero quelli che hanno determinato la flessione dell’export, sono stati di 39 milioni (-39,7%) per l’abbigliamento; di 28 (-30,8%) per i prodotti farmaceutici, che pure nel corso degli anni recenti avevano contribuito a sostenere la nostra economia; di 13 (-99,6%) per i prodotti dell’estrazione di cave; e di 8 (-30,1%) per gli articoli in pelle.
Quanto al settore agricolo ed agro-alimentare, infine, tradizionali punte di diamante del sistema produttivo nostrano, per il primo si registra un incremento di un milione di euro (da 17 a 18 milioni), mentre per il secondo la crescita è di tre milioni (da 107 a 110). Diversa la prospettiva se l’angolazione diventa quella percentuale: mentre i prodotti agricoli registrano un incremento pari a 8,4%, ben superiore a quello italiano (-0,2%), l’export dei prodotti alimentari segna un incremento pari al 2,4%, ma largamente inferiore al dato nazionale (+6,9%).
“Se non ci fossero le multinazionali a tenere alti i numeri, parleremmo di autentico disastro – commenta il presidente regionale della Cna, Italo Lupo – perché questa è una realtà in cui non si fanno politiche attive né per la grande impresa né per le piccole. Da anni questo territorio non riesce ad attrarre nuovi grandi insediamenti, e fatica a conservare quelli che ha. Perché? La nostra dotazione di infrastrutture è carente, il territorio non attrae anche per questo. Manca l’Alta velocità ferroviaria, i porti non sono attrezzati per il sistema produttivo, grandi infrastrutture come l’Interporto di Manoppello sono chiuse. Ancora, importanti iniziative, come il campus per l’automotive in Val di Sangro, di cui si parla da anni, sono ferme al palo. Quanto alle piccole e medie imprese, occorre rafforzare poli d’innovazione e reti, strumenti attraverso i quali può trovare spazio un processo per l’espansione verso i mercati esteri, molti dei quali sono pure interessati da processi di crisi”.