Abruzzo. Oltre 12mila mascherine non regolamentari sono state sequestrate dai carabinieri del Nas di Pescara durante una serie di controlli effettuati, nell’ultimo scorcio, all’interno di farmacie, parafarmacie e importatori presenti sul territorio regionale.
Verifiche effettuate dai militari nell’ambito delle iniziative che riguardano l’emergenza coronavirus.
In totale sono state segnalate all’autorità giudiziaria i titolari di 7 attività, tra le quali depositi, farmacie e parafarmacie, per un totale di 10 persone. Tre attività nel chietino, due nell’aquilano, una nel pescarese e nel teramano, sono responsabili di aver immesso sul mercato dispositivi di protezione individuale non conformi ai requisiti di sicurezza, mascherine facciali filtranti generiche presentate come dispositivi di protezione e mascherine facciali commercializzate come dpi, sebbene l’iter di autorizzazione attraverso l’INAIL non fosse ancora concluso.
Al vaglio degli inquirenti ci sono le informazioni fornite al consumatore e le caratteristiche dei prodotti: dai singoli rivenditori, gli accertamenti, a ritroso, sono stati ampliati anche a grossisti e importatori di altre regioni italiane. Sono state prese in esame mascherine chirurgiche, tecnicamente dispositivi medici, mascherine rientranti nell’ambito dei dispositivi di protezione individuale, divenute note per la sigla ffp2 o kn95 e mascherine filtranti per la collettività. I NAS hanno passato al setaccio non solo la documentazione commerciale e di vendita, ma anche e sopratutto l’esistenza delle autorizzazioni alla produzione e commercializzazione, per le procedure in deroga, che avrebbero dovuto rilasciare Istituto Superiore di Sanità, per i dispositivi medici e INAIL, per i dpi.
Tra gli input investigativi i NAS annoverano le segnalazioni pervenute al centralino del Nucleo di Pescara, la captazione di notizie sulle fonti aperte del web, sulle pagine social delle attività commerciali, oltre che sull’osmosi informativa tra i vari NAS del Paese.
Altre 5 persone, invece, sono state segnalate alle Camere di Commercio territorialmente competenti, per l’assenza di informazioni in lingua italiana, come imposto dal Codice del Consumo, sui prodotti in vendita. Nei confronti dei trasgressori sono state elevate sanzioni per diverse migliaia di euro.
Le indagini sono tutt’ora in corso e vertono su alcune certificazioni di “compliance” esibite durante i controlli e diverse marcature CE, di dubbia fattura, apposte sui dispositivi oggetto di sequestro.