Che la situazione non sia monitorata e che, anzi, soffra ancor oggi di un certo imbarazzo Istituzionale che rallenta la prevenzione del fenomeno è dimostrato dal fatto che non sono stati resi mai pubblici studi e analisi per capire portata e dimensioni.
La Polizia di Stato deve dare una risposta urgente alle richieste silenti di aiuto da parte di molti colleghi che, per paura di essere estromessi dall’attività lavorativa o per paura di essere ”emarginati”, tengono la bestia (la depressione) dentro e questa bestia continua a consumare l’animo e la mente per poi esplodere in tutta la sua drammaticità. La morte di un collega non può essere solo relegata ad un mero numero statistico.
“Dobbiamo prendere esempio da altre Polizie Europee (sembra che peggio di noi ci sia solo la Francia)”, spiega Nicola Di Sciascio, segreyario generale di Coisp Abruzzo, “che non allontanano il poliziotto dalla sede di lavoro, ma con un impegno di sostegno psicologico lo destinano ad altre mansioni, meno gravose, senza incidere sulla dignità professionale.
La Polizia di Stato dovrebbe istituire in ogni Questura, in sinergia con le Asl, un centro di ascolto, costituito da medici competenti che assicurino l’anonimato del collega e lo aiutino in un percorso di ripresa, con tutti gli strumenti a disposizione, senza estrometterlo dall’attività lavorativa, condizione a cui si dovrebbe ricorrere solo come ultima ratio.
E’ vero che una simile progettualità prevede investimenti economici, ma non si può più rimanere indifferenti a questa strage non troppo silenziosa e il Coisp Abruzzo, unitamente alle segreterie provinciali e a quella Nazionale, sarà portavoce affinchè qualcosa cambi e queste morti non siano inutili ma servano per l’inizio di un nuovo corso di gestione del personale.