Antonio Zennaro, deputato e responsabile regionale per il Comitato che sostiene il sì al referendum.
Onorevole, perché ritiene sia importante andare a votare per il sì?
Senza dubbio per migliorare il mondo della giustizia e restituire fiducia ai poteri dello Stato, oltre che essere uno stimolo a fare di più per tutta la politica. Chi sostiene il no adduce al fatto che i mali della giustizia debbano essere affrontati nel loro complesso, e non modificando solo alcuni aspetti. E’ proprio questo l’atteggiamento che vogliamo scardinare.
C’è chi sostiene che non serve un referendum quando c’è già una riforma della giustizia in cantiere, quella del Ministro Cartabia. Cosa ne pensa?
Non sono d’accordo, naturalmente. I quesiti referendari sono un passo in più. Facciamo un esempio, la riforma Cartabia renderebbe ancora possibile il passaggio di un magistrato dal ruolo di giudice a quello di pubblico ministero, oggi è consentito ben quattro volte. Il referendum annulla del tutto questa possibilità, ciò che si vuole evitare è che venga messa in pericolo la garanzia di terzietà, che ci siano commistioni e che il giudice si appiattisca sulla posizione del pm. La separazione di carriera deve avvenire a monte, la forma mentis è diversa, così come è diverso il lavoro da svolgere.
L’eliminazione della reiterazione del reato dai requisiti per le misure cautelari non aumenterebbe il rischio che una persona possa ricommettere lo stesso reato, come nel caso di stalking?
Assolutamente non è così quando si tratta d violenza di genere, perché in questo caso continuerebbe a essere applicata la custodia cautelare, e questo vale per tutti i reati più gravi. Quello che si vuole evitare è l’abuso di una misura che dovrebbe essere applicata con estrema ratio, in quanto privazione della libertà, cosa che invece oggi accade massicciamente in Italia, a differenza degli altri paesi europei. Senza considerare, inoltre, l’aspetto oneroso per le casse dello Stato, la custodia cautelare costa infatti moltissimo in termini di indennizzi per ingiusta detenzione.
Sul lato Severino, l’abolizione della legge renderebbe candidabili anche i condannati.
Questa è la lettura, semplificata, che vogliono dare coloro a cui conviene che non venga riformata la giustizia. La Severino prevede la sospensione della carica in caso di condanne non definitive e proprio per questo molti amministratori locali, soprattutto sindaci, ci chiedono l’eliminazione, perché è frequente che vengano sospesi per sentenze non definitive, quasi sempre smentite nei successivi gradi di giudizio. Noi vogliamo togliere l’automatismo e lasciare al giudice la discrezionalità se applicare o meno l’interdizione dai pubblici uffici. La presunzione di non colpevolezza è un principio fondamentale in uno stato di diritto.
In Abruzzo, come responsabile regionale referendum per la Lega, ha coordinato la raccolta delle firme e organizzato nelle quattro province vari incontri sulle ragioni del sì e le ragioni del no. Qual’è il suo sentore?
C’è stata una mancanza di approfondimento soprattutto da parte dei media nazionali, siamo passati dai virologi agli esperti di geopolitica. Un tema come quello della giustizia doveva avere più spazio, si è fatto il minimo sindacale, l’informazione dovrebbe essere imparziale e non fare il gioco della sinistra che vuole il flop della tornata referendaria. Voglio chiudere con un appello al voto verso tutti i cittadini abruzzesi. Il referendum è uno strumento fondamentale in una democrazia partecipata, domenica le urne saranno aperte in tutti i comuni dalle 7 alle 23. Io voto sì. Miglioriamo la giustizia italiana.